Dopo la lettera del segretario Pd ai gruppi parlamentari prende forma il “patto di governo” che sarà siglato tra l’Esecutivo e gli alleati alla fine di gennaio
Matteo Renzi appena dopo i primi di gennaio ha dato un colpo di acceleratore verso il “patto di governo”. I motivi sono due. Il primo è la figuraccia rimediata dal governo sul decreto salva Roma con interventi a pioggia, secondo il vecchio metodo lobbistico, in barba ai tagli a prebende e sprechi, con rischio di allontanare il cambiamento; il secondo è l’attesa che circonda la sua leadership. In sostanza, o si cambia subito e si rischia l’impantanamento nella palude degli annunci, dei rinvii e dei compromessi al ribasso. C’è un terzo motivo, in realtà, che è molto serio: la spinosità e la complessità dei problemi richiede un impegno straordinario, senza contare che, anche dopo il discorso di Napolitano sulla gravità della situazione economico-sociale, la gente si aspetta fatti, non parole.
Il colpo di acceleratore di Renzi è una lettera ai gruppi parlamentari dei partiti con una serie di temi che saranno oggetto del “patto di governo”. Ce n’è abbastanza per riempire un anno di attività di governo. L’ordine numerico non coincide con l’importanza del tema, ovviamente. Il primo capitolo riguarda i “Diritti civili”, che comprende “le unioni per persone dello stesso sesso”. Il tema non mancherà di sollevare contrasti, ma i tempi sono maturi anche in Italia per una soluzione che non sarà come quella francese o spagnola (matrimonio gay) ma che rappresenta comunque un notevole passo in avanti. Tra il capitolo dei “Diritti civili” figura anche la riforma della Bossi-Fini sull’immigrazione, in modo particolare sicuramente la questione della concessione della cittadinanza italiana a chi nasce sul territorio italiano al di là della nazionalità dei genitori. Anche questo sarà un argomento su cui ci saranno divisioni non solo tra i partiti, ma soprattutto nella società.
Un capitolo importante saranno i costi della politica, che non riguarda solo il rimborso elettorale, ma concerne anche le istituzioni, in primo luogo il ruolo del Senato. Questo tema è un ponte verso Grillo, sensibile sull’eliminazione del doppione Camera-Senato. La proposta non è solo di Renzi, ma di tutti: fare del Senato la Camera delle autonomie. Renzi propone che i senatori non siano retribuiti, in quanto il Senato dovrebbe essere composto dai sindaci delle grandi città o dagli eletti nei consigli regionali, già retribuiti.
Il capitolo lavoro è ancora tutto da scoprire. Finora le proposte sono state vaghe, anche per l’opposizione della Cgil a cambiare l’impalcatura dello Statuto dei lavoratori, in particolare l’articolo 18 e i contratti. Nella lettera ai gruppi parlamentari si accenna a “un documento molto più articolato di quello che si è letto fino ad oggi”. Infine, il capitolo riforma elettorale, quella che ha attirato di più l’attenzione dei media. Qui Renzi è sceso nel concreto, partendo dall’assunto in base al quale nessuno dei partiti è in grado di far approvare una proposta unicamente sua, dunque bisogna trovare il dialogo tenendo presente alcuni punti irrinunciabili. Il primo è il bipolarismo, cioè due schieramenti che si contendono il consenso degli italiani. Il secondo è che la sera delle elezioni si deve sapere con certezza chi ha vinto e chi ha perso. Il terzo è che non può esserci rischio di parità, cioè di stallo e dunque di larghe intese paralizzanti. La sera del voto si deve sapere non solo chi ha vinto ma anche chi governa.
Dovendo ricercare una soluzione condivisa, Renzi ha proposto tre soluzioni: il modello spagnolo, il Mattarellum corretto e il modello dei sindaci. Brevemente. Il modello spagnolo prevede 118 piccole circoscrizioni con premio di maggioranza del 15% (92 seggi) da attribuire alla lista vincente. Ogni circoscrizione elegge da 4 a un massimo di 5 deputati, con soglia di sbarramento del 5%. Il Mattarellum corretto prevede 475 collegi uninominali, con il 25% restante e così ripartito: un premio di maggioranza del 15% e un “diritto di tribuna” ai partiti più piccoli pari al 10%. Il modello dei sindaci è quello attualmente in vigore, appunto, per l’elezione dei sindaci, e cioè: la lista che vince ottiene il 60% dei seggi, mentre il restante 40% va ripartito tra le liste perdenti in maniera proporzionale. La soglia di sbarramento è fissata al 5%. Ciascuna delle tre soluzioni potrebbe interessare gli altri partiti: Forza Italia (modello spagnolo), Mattarellum (Grillo), Sindaco d’Italia il Ncd. Finora Grillo si è sfilato, mentre Berlusconi ha aperto sia al metodo che al merito. Va ricordato che il politologo Gianfranco Pasquino ha bocciato tutti e tre questi modelli, perché “funzionerebbero solo con delle modifiche”.
Dopo la lettera di Renzi ai gruppi parlamentari, la responsabile delle riforme del Pd, Maria Elena Boschi, ha spiegato: Abbiamo sempre detto che la legge elettorale riguarda tutti. Serve il più ampio consenso possibile. E’ molto importante cambiare subito la legge perché è un impegno che abbiamo preso davanti ai cittadini. Basta rinviare”.
Il M5S non ha dato nessuna disponibilità, per cui Maria Elena Boschi ha replicato: “Nonostante le nostre aperture, esponenti dei 5 Stelle dimostrano che non c’è disponibilità a cambiare le cose”.
Siamo solo agli inizi di un partita che si concluderà alla fine di gennaio.