Anno nuovo, clima nuovo. Forse. Sono ancora tante le resistenze, ma è innegabile che il disgelo c’è stato. Si tratta di vedere se si tramuterà in atti concreti o se sarà solo un fuoco di paglia.
C’è voluta l’aggressione a Berlusconi, il 13 dicembre scorso, per mettere tutti – o quasi – davanti alle proprie responsabilità di fronte ad una realtà a dir poco desolante: la politica ridotta a pettegolezzi, la violenza nel linguaggio, l’odio nei rapporti tra avversari. E ci fermiamo qui. Tutte cose che anche noi avevamo da tempo denunciato e che il presidente della Repubblica aveva stigmatizzato in più di una occasione senza alcun successo.
L’aggressione al premier ha fatto capire ciò che anche un intellettuale di fama, Giampaolo Pansa, aveva più volte testimoniato: in Italia si stava creando un clima di odio e di violenza come agli inizi degli anni Settanta e prima o poi dalla violenza verbale si sarebbe passato alla violenza tout court. È quello che si è verificato. Dunque, un nuovo clima, favorito sia dal premier che nei suoi discorsi ha più volte fatto cenno all’“amore che vince l’odio” – riattualizzando una frase che viene da lontano – e sia dal segretario del Pd, Pierluigi Bersani, il quale ha capito che grande era la responsabilità dell’opposizione nell’esasperazione dell’antiberlusconismo e che il Pd, alla lunga, sarebbe stato svuotato elettoralmente dall’estremismo parolaio dell’Idv. Bersani ha fatto materialmente il primo passo visitando in ospedale il premier e poi il resto è venuto da sé.
All’inizio, parte del Pd stesso – oltre a personaggi non secondari come Veltroni, Franceschini, Rosy Bindi e tanti altri – ha gridato allo scandalo o più precisamente all’“inciucio”, ma poi l’ala dialogante ha guadagnato consensi, sebbene le resistenze siano ancora tante.
La più tenace e irriducibile proviene dall’Idv di Di Pietro, il quale non perde occasione per alzare il livello della polemica al limite dell’estremismo e anche del codice penale, come quando usa termini offensivi tipo “mafioso”, “corruttore”, “tecnicamente delinquente”, o come quando, non più di quattro giorni fa, De Magistris, ex magistrato, ha detto che bisognerebbe mandare in esilio il presidente del Consiglio, o come quando il giornalista Travaglio ha teorizzato il diritto all’odio.
La posta in gioco è importante: il clima di rispetto personale non è soltanto una questione di educazione, è anche un segno di civiltà e un terreno di dialogo per concorrere alle riforme di cui l’Italia ha bisogno e che, affrontate da una sola parte, per quanto legittimata, non contribuiscono alla pacificazione tra le diverse forze politiche.
Ma c’è di più. L’aggressione al premier ha fatto finalmente prendere coscienza del fatto che il clima di odio si stava scatenando nel mezzo di una crisi economica mondiale grave e che sarebbe stato da irresponsabili continuare su quella strada. Non solo. Negli ultimi tempi c’erano stati segnali evidenti che anche il terrorismo internazionale si stava risvegliando. È accaduto con l’attentato fallito a Milano, ma anche con notizie provenienti dai servizi segreti dei Paesi occidentali. Dopo qualche settimana, ecco l’attentato (fallito) sull’aereo diretto verso l’America, ma anche gli attentati in Iraq, quello in Pakistan e in Afghanistan. Insomma, oltre alla crisi economica ancora pesante, c’è l’emergenza terrorismo.
Dunque, il dialogo è una via obbligata, oltre che un segno di razionalità e di ragionevolezza.
In questo clima più favorevole è intervenuto il Capo dello Stato con il suo messaggio di fine d’anno, con parole d’ordine quali “serenità” e “speranza” e con un invito a lavorare di comune accordo per le riforme.
Il messaggio sembra essere stato accolto. Le forze politiche stanno decidendo il mezzo del confronto – se creare una Bicamerale o una Convenzione o un altro organismo – ma il punto di partenza sembra essere la cosiddetta “Bozza Violante”, approvata in Commissione la scorsa legislatura. Essa si basa sulla riduzione del numero dei deputati (da 630 a 512), sul Senato federale composto dagli eletti nei Consigli regionali, sui maggiori poteri al premier (nomina e revoca dei ministri) e sulla mozione di sfiducia (presentabile da almeno un terzo dei deputati e approvabile a maggioranza assoluta). Poi ci sono due provvedimenti delicati. Il primo è quello dell’immunità durante il mandato e il secondo è la riforma della giustizia.
Sull’immunità ci sono due proposte convergenti: il Lodo Alfano per via costituzionale e il ritorno della vecchia immunità parlamentare per tutti, ministri e parlamentari. La maggioranza e buona parte delle opposizioni troveranno senza problemi un accordo. Sulla riforma della giustizia, siamo ancora ai preliminari. Il Pd dà l’ok ad una riforma, ma che non sia una legge ad personam; il Pdl accetta l’ok, ma vuole che sia un compromesso non al ribasso.
L’unico partito che non vuole nemmeno dialogare è l’Idv. Per ovvi e non nobili motivi: più c’è contrasto e più la demagogia può dispiegarsi in tutta la sua virulenza.
Nel frattempo è stata approvata la proroga dello scudo fiscale fino ad aprile e la “Action act”, cioè la possibilità per i cittadini di far ricorso contro l’amministrazione, gli enti pubblici e le imprese per torti subìti.
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1 commento
Cara redazione, mi permetta di correggere o aggiustare qualche accento del vostro articolo su citato.
Quei fatti di cronaca riguardo al nostro capo del consiglio che continuano a scrosciarci addosso da 15 anni, non sono pettegolezzi ma mero spettacolo, spesso di cattivo gusto e a volte ben orchestrato da parte del nostro primo politico televisivo.
L’odio nei rapporti tra avversari che lei deplora tanto è solo il riflesso del detto pubblicitario emanato dal letto del nostro premier. Poco prima dell’attentato inveiva contro di chi non la pensava come lui fomentando l’aggressione avvenuta in Piazza Duomo. Ho dei dubbi che l’aggressione sia stata progettata da qualche gruppo estremista per ricavare un profitto politico. Il grande imputato giudiziario si compiace nel ruolo della vittima perseguitata trovando improvvisamente il cenno natalizio “l’amore che vince l’odio”. Tutte le sue azioni miranti a salvarsi dai processi sono cosi definite azioni d’amore, ovviamente per se stesso. L’odio è attribuito a quelli che fanno seria opposizione come Di Pietro, chiamando col vero nome di “inciuci” le manovre per ottenere l’eterna inpunibilità del premier. I sostenitori del premier hanno una tale sfacciatagine di non curarsi nemmeno più di celare le leggi “ad personam” . La passata esperienza di 15 anni insegna che qualsiasi sforzo per aggevolare il lavoro del parlamento e servire il paese con dei “dialoghi” non può che avere lo scopo di salvare Berlusconi dai processi. La politica è così paralizzata dai guai giudiziari dell’attuale capo del consiglio.
Se Berlusconi avesse veramente a cuore il bene del paese, dovrebbe farsi processare. M.Montanarini