Sulle vicende dei marò arrestati in india e soprattutto del blitz inglese fallito monti paga errori che fanno parte della tradizione politica italiana
All’indomani del blitz britannico fallito in Nigeria – e durante il quale hanno perso la vita l‘italiano Franco Lamolinara e l’inglese Chris McManus, uccisi dai banditi che li avevano sequestrati – e in seguito alla vicenda dei due marò arrestati in India e accusati di aver sparato a due pescatori, uccidendoli, scambiandoli per pirati, Massimo Franco, sul Corriere della Sera, ha notato che Monti si è accorto che non solo i contrasti tra i partiti che lo sostengono ma anche la politica internazionale può indebolirlo. In realtà, indebolire un governo o rafforzarlo sono categorie politiche tipiche di un governo eletto, non di un governo tecnico nominato, dunque nessun problema sulla tenuta dell’Esecutivo Monti. Tuttavia, se Monti paga, nel caso del blitz britannico, la tradizionale condotta italiana in politica internazionale e in modo particolare in questa materia (trattativa con i rapitori con pagamento di riscatto, sempre sistematicamente negato, mentre Usa, Inghilterra e altri Paesi non cedono e non trattano), nel caso della nave italiana, successivamente fatta dirigere nel porto indiano con successivo arresto dei due marò che sostengono di non aver ucciso nessuno, il ministro Terzi, diplomatico di lungo corso e di grande esperienza, e lo stesso Monti hanno commesso errori madornali, sia impedendo all’armatore di acconsentire a portare la nave in territorio indiano, sia a non coinvolgere subito l’Europa, sia anche a non chiedere i buoni uffici di grandi Paesi come gli Usa o la Russia nel risolvere una vicenda intricata nella quale ormai non contano più tanto i fatti realmente avvenuti quanto la difficoltà di ciascuna delle parti ad ammettere di aver sbagliato. Queste due vicende, comunque, dimostrano anche che il governo tecnico di Monti ha dei limiti proprio nella sua natura di governo tecnico e che deve operare nell’ambito soprattutto delle questioni economiche e finanziarie che i governi eletti non sono riusciti a risolvere proprio per i veti incrociati tra i partiti e per gl’interessi dei rispettivi elettorati. In sostanza, Monti ha fatto una riforma delle pensioni che nessuno sarebbe mai riuscito a fare, mentre invece un governo eletto avrebbe gestito meglio una vicenda il cui esito avrebbe condizionato la diretta responsabilità del ministro stesso e del capo del governo. In sostanza, il ministro Terzi ha pensato che fossero sufficienti le armi diplomatiche tradizionali, ma dopo gli sbagli, quando il governo avrà esaurito il suo mandato, tornerà a fare il diplomatico alla Farnesina, mentre, ad esempio, un ministro politico avrebbe poi avuto serie difficoltà non tanto a farsi rieleggere, quanto a ricevere un nuovo incarico di prestigio.
Tutto questo – e il vertice saltato tra Monti e i segretari dei tre partiti che lo sostengono è illuminante – ci fa dire che Monti deve tenere i motori accesi soprattutto sulle questioni che attengono all’economia, alla finanza, allo sviluppo, al fisco, al lavoro e all’Europa, perché alla scadenza della legislatura manca un anno, ma tra elezioni amministrative e estate il periodo si restringe. Il grande tema che rimane ancora non risolto è la riforma del lavoro. C’è stata una pausa, a causa della mancanza di soldi per finanziare i nuovi ammortizzatori, ma la trattativa va ripresa al più presto, perché senza una riforma seria e moderna non ci sarà crescita e non ci saranno investimenti stranieri. Lo hanno detto a chiare lettere Fornero e Monti stesso, ma ora bisogna passare ai fatti, che sono tra l’altro anche nell’agenda del governo dei prossimi giorni e delle prossime settimane. Ciò detto, due sono le interviste che hanno segnato il dibattito politico nei giorni scorsi. La prima è quella di D’Alema, che in sostanza ha detto che le coalizioni cui abbiamo assistito finora, raggruppanti partiti più utili e uniti per vincere le elezioni che capaci di portare avanti con coerenza i programmi e le alleanze, hanno fatto il loro tempo. Il partito, ha detto D’Alema, che vince le elezioni dovrà avere il compito di formare la maggioranza in Parlamento. I sì alla proposta sono stati più numerosi dei no, almeno a giudicare da coloro che si sono espressi, ma è chiaro che si tratta di un ritorno al vecchio sistema della Democrazia cristiana attorno a cui ruotavano vari partiti che poi facevano durare i governi tra 8 mesi e un anno circa. Il fallimento del bipolarismo, in realtà, c’è stato unicamente perché non si è avuto il coraggio di eliminare i partitini, cosa che si può fare innalzando davvero, e non solo simbolicamente, la soglia di sbarramento e sottoscrivendo prima delle elezioni programmi ed alleanze dinanzi agli elettori, pena la fine della legislatura. L’altra intervista è quella di Angelo Rovati, ex consigliere economico di Prodi, il quale, parlando di come vengono utilizzati i rimborsi elettorali dai partiti in riferimento anche alla gestione Lusi, ha fatto una proposta provocatoria ”prorogare fino al 2015 la legislatura, con Napolitano come garante, per consentire al governo Monti di fare le riforme con calma e ai partiti di fare pulizia al proprio interno”. La proposta è, come dice l’autore stesso, provocatoria, ma per nulla priva di senso.