A partire da questo mese il loro prezzo deve essere specificato sullo scontrino
Sui social negli ultimi giorni è stato un tripudio di foto di frutta con tanto di scontrino attaccato: una consumatrice ha fotografato le arance appena comprate pesate una per volta e etichettate singolarmente (per non dover prendere il tanto contestato sacchetto) commentando: ‘Fatta la legge, trovato l’inganno’. In realtà, a ben vedere, è una polemica montata sul nulla perché i sacchetti in cui vengono pesati frutta, verdura ma anche pesce e salumi, si pagavano anche prima dell’entrata in vigore delle nuove norme approvate lo scorso agosto ed entrate in vigore il primo gennaio scorso (articolo 9-bis della legge di conversione n. 123 del 3 agosto 2017, il Decreto Legge Mezzogiorno).
Il costo dei sacchetti di plastica che abbiamo usato finora, infatti, sono sempre stati spalmati sul prezzo finale del supermercato, come succede con tutti i costi di funzionamento. Ora ci accorgiamo di pagarli, perché il prezzo risulta specificatamente sullo scontrino come disposto dalle nuove disposizioni.
Questo perché uno degli obiettivi della direttiva è aumentare la consapevolezza dei cittadini europei sul fatto che la plastica è un costo. Nello specifico la legge prevede che i ‘sacchetti di plastica ultraleggera, con spessore della singola parete inferiore a 15 micron, utilizzati nei supermercati per imbustare frutta, verdura o altri alimenti freschi sfusi, devono essere biodegradabili, compostabili e certificati, con un contenuto minimo di materia prima rinnovabile non inferiore al 40%’ (entro il 2020 tale percentuale dovrà salire al 50% per poi raggiungere il 60% entro il 2021). Per rinnovabile si intende una risorsa che la natura riesce a sostituire in un arco di tempo paragonabile a una vita umana, a differenza delle fonti fossili che si riformano in milioni di anni e che per questo sono in esaurimento. La nuova legge dispone che i sacchetti siano biodegradabili e compostabili e che in gran parte provengano da fonti a base bio. Un prodotto a base bio (bio-based) come la bioplastica è interamente o parzialmente ricavato da biomassa, un materiale di origine biologica, come la carta o il legno, e non include componenti di origine fossile (come carbone o petrolio). Ovviamente la bioplastica ha un minore impatto ambientale per quanto riguarda i gas serra emessi e i consumi energetici.
Gli esercenti hanno dunque l’obbligo di usare sacchetti con tali caratteristiche al posto dei normali sacchetti che vengono gettati più spesso e sono, anche per questo motivo, tra i principali responsabili dell’inquinamento dei mari. E sempre la stessa normativa impone di indicare specificatamente il prezzo sullo scontrino. Per gli esercizi commerciali che non applicheranno la nuova norma sono previste multe che vanno da 2.500 a 25.000 euro. Ma le sanzioni possono arrivare anche fino a 100.000 euro in caso di ‘ingenti quantitativi’ di buste fuorilegge. E per i consumatori non c’è nessuna via facilitata, come il fai da te: il ministero dell’Ambiente ha già fatto sapere che, per motivi igienici, i sacchetti non potranno essere portati da casa o riutilizzati. Facendo bene i conti, ogni famiglia si troverà a spendere dai 4 ai 12 euro in più nell’arco di un anno. In più questi sacchetti sono utili per la raccolta dell’umido, sacchetti che altrimenti dovremmo comprare a parte, oltretutto pagandoli di più. Sembra quindi che, facendo bene i conti, tutta l’agitazione di questi giorni sia destinata a svanire nel nulla.
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foto: Ansa