Non sappiamo se la mobilitazione di opinione e di piazza in buona parte dei Paesi del mondo avrà la capacità, come ci auguriamo, di fermare la mano del boia o se la povera Sakineh morirà lapidata, però è certo che la solidarietà di centinaia di milioni di persone è forte e che il regime iraniano è considerato indegno, non solo dai Paesi occidentali, ma anche da quelli non ostili, come il Brasile che, per bocca del suo presidente, ha chiesto al regime di graziare la donna. E sicuramente da milioni di iraniani stessi, che in nome di una delle civiltà più antiche non meritano un regime che li riporta indietro di millenni.
Una breve sintesi dei fatti. Sakineh Mohammadi Ashtiani, condannata per “relazioni illecite con due uomini” vari anni fa, fu subito punita con 99 frustate alla presenza del figlio. Lei, senza testimoni e né prove ha ammesso l’adulterio ma poi lo ha smentito. Si è trattato di un’evidente ammissione sotto tortura, minacce e coercizioni di vario genere. Poi il marito fu ucciso da uno dei suoi presunti amanti e lei è stata condannata per complicità nell’omicidio, in più accusata di nuovo di adulterio, processata e condannata alla lapidazione. Da quattro anni nel braccio della morte, l’esecuzione doveva essere messa in atto, ma poi è stata temporaneamente sospesa, soprattutto su pressione dell’opinione pubblica mondiale. Intanto, in attesa della morte, è stata di nuovo condannata ad altre 99 frustate, eseguite domenica scorsa.
Da questo caso si possono trarre alcune considerazioni. La prima è che sono tante le Sakineh sconosciute nelle carceri iraniane (e non solo iraniane) e che sono tantissimi anche gli uomini costretti alla prigione e alla morte senza aver commesso nessun vero reato, se non quelli che si vuol loro cucire addosso. Siamo in presenza di uno dei più tetri regimi dittatoriali che ancora esistono sulla faccia della Terra, dove i poteri non sono separati, dove giudici, politici, militari, rappresentanti delle istituzioni fanno parte dello stesso ingranaggio: il potere.
La seconda considerazione, di conseguenza, è che il potere non si fonda solo sulla forza politica e militare, ma anche su quello religioso. Come si sa, nei regimi musulmani i due poteri – civile e religioso – sono la stessa cosa e nelle stesse mani, per cui non c’è uno Stato che fa le leggi che regolano la convivenza civile (se uno ruba viene giustamente condannato). No, lo Stato agisce anche in nome di Dio, per cui regola la convivenza e insieme la coscienza morale degli individui sulla base di libri scritti più di1400 anni fa, per cui uno viene condannato anche se dice ad alta voce e con le dovute maniere che, per esempio, non crede in Dio. Ora, quando si arriva a questo, vuol dire che non solo è tolta la libertà formale, ma anche quella della propria coscienza.
La terza considerazione riguarda la mostruosità del fondamento giuridico e religioso su cui si regge un tale regime. Un regime teocratico che condanna non in nome delle leggi laiche (che non possono superare la soglia oltre la quale ci sono le libertà individuali della propria coscienza) ma in nome di Dio, lo fa, evidentemente, perché ritiene che Dio esiste per condannare e non per perdonare (si ricordi l’adultera del Vangelo, che Gesù non condanna). Cioè i politici s’identificano con un Dio da loro presunto accusatore e giudice punitore.
Siamo all’assurdità, un’assurdità, appunto, mostruosa, soprattutto teologicamente parlando. Ecco perché le vittime di questa mostruosità – vere e grandi eroine della Storia – meritano tutta la nostra solidarietà.
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