Sciolse il piccolo Giuseppe Di Matteo nell’acido, fu esecutore della strage di Capaci, ma per la giustizia italiana merita legalmente la scarcerazione
Le polemiche avanzano sulla rete, ma lì si fermano. Ormai l’insurrezione viaggia online crea tanto chiacchiericcio ma non va oltre, nel frattempo le azioni si compiono schernendo quelle rivolte che infuocano le tastiere. Così, quasi alla vigilia della festa della Repubblica Italiana, viene scarcerato il mafioso Giovanni Brusca. Inutile la scrittura di chi, tra i più noti e i meno noti, sapienti e meno, si accaniscono sull’evento o su un qualche giudice apostrofato dalle peggiori offese: il boss mafioso Giovanni Brusca è un collaboratore di giustizia, per questo la legge italiana gli sconta la pena. E, ironia della sorte, è stato proprio il giudice Giovanni Falcone a volere questa legge, lo ricorda la sorella commentando la scarcerazione del mafioso: “Umanamente è una notizia che mi addolora, ma questa è la legge, una legge che peraltro ha voluto mio fratello e quindi va rispettata. Mi auguro solo che magistratura e le forze dell’ordine vigilino con estrema attenzione in modo da scongiurare il pericolo che torni a delinquere, visto che stiamo parlando di un soggetto che ha avuto un percorso di collaborazione con la giustizia assai tortuoso. Ogni altro commento mi pare del tutto inopportuno”.
Inopportuni, ma inevitabili sono i commenti sgomenti sull’evento. Può un uomo che ha alle spalle chissà quanti crimini di matrice mafiosa, oltre centocinquanta delitti confessati, stragi come quella di Capaci (nella quale morì proprio Falcone insieme alla moglie e i tre agenti della scorta), sciolto nell’acido un bambino di 13 anni, uscire dopo soli 25 anni di carcere? Sì può. Anzi, pare che questa sia l’unica cosa legale che abbia fatto Brusca, uscire per pena ridotta perché collaboratore di giustizia. È la legge italiana che lo dice, gli tocca insieme al programma di protezione. Sarà anche la legge, sarà anche legale, ma la scarcerazione del mafioso Brusca è una vergogna legalizzata che però la magistratura difende come unico mezzo in possesso contro la mafia stessa: “La legge sui collaboratori di giustizia si è rivelata uno strumento fondamentale nella destrutturazione delle mafie. Giovanni Falcone, che ne è stato l’ideatore, aveva ben presenti i costi sul piano della sofferenza per le vittime dei mafiosi che l’approvazione di una normativa del genere avrebbe comportato. Ma aveva anche chiaro quali danni alla mafia avrebbero e hanno fatto le collaborazioni di alcuni esponenti di vertice di Cosa nostra”, commenta il procuratore di Messina Maurizio de Lucia. Ma forse sarebbe il caso di rivedere una legge pensata circa 30 anni fa, quando vi era una situazione completamente diversa. Sì, è vero, è stata pensata da Giovanni Falcone, ma oggi il giudice antimafia la riterrebbe ancora valida? In tal senso esprime tutta la sua rabbia e il suo dubbio Tina Mortinaro, vedova di Antonio Mortinaro, di caposcorta di Giovanni Falcone ucciso nella strage di Capaci, quando afferma: “Non mi piace il fatto che oggi si voglia dire che è una legge che ha voluto Falcone. Sì, l’ha voluto. Ma quando l’ha pensata, erano pochi i collaboratori di giustizia. Dire che è una legge voluta da lui senza rivederla significa offendere la sua memoria. Sembra quasi un’offesa alla morte di mio marito”.
Cosa gli spetta adesso all’ex boss di Cosa Nostra?
Il pentito ex “scannacristiani” adesso vivrà con il figlio trentenne in una località segreta sotto protezione dello Stato che si farà carico di tutte le loro esigenze: spesa, oneri sanitari e anche dell’abitazione. Inoltre riceverà un assegno di 1000 € al mese, più uno di minor valore per il figlio. Per i primi 4 anni non potrà allontanarsi dall’Italia ed ha obbligo di firma ogni settimana, oltre che orari controllati e pernottamento fisso. Se vorrà, potrà provare tra qualche tempo a cercare lavoro.
Redazione La Pagina