Risale la tensione tra Quirinale e Palazzo Chigi.
A riaccendere la miccia sarebbe stato l’intervento di Silvio Berlusconi, al convegno di Parma di Confindustria, quando ha lamentato gli scarsi poteri del governo nell’attuale assetto istituzionale, sottolineando il minuzioso controllo, fino agli “aggettivi”, del Colle sugli atti dell’esecutivo.Osservazioni che, ha scritto Eugenio Scalfari nel suo editoriale su Repubblica, hanno provocato l’irritazione di Giorgio Napolitano.
Il premier ha puntato l’indice per l’ennesima volta sulle difficoltà di veder realizzate le sue proposte, anche a causa dei necessari passaggi parlamentari. Il che dimostrerebbe come il governo “non abbia nella nostra Costituzione, nessun potere”.
Berlusconi ha anche sottolineato la necessità di dover “trovare la condivisione con il Presidente della Repubblica e con il suo staff, che interviene anche sugli aggettivi” dei provvedimenti sottoposti all’attenzione del Colle. Un passaggio che avrebbe irritato il capo dello Stato dopo le frizioni, a marzo, tra Palazzo Chigi e Quirinale per il no del Presidente della Repubblica al decreto sulla riapertura dei termini per la presentazione delle liste elettorali a Roma, dopo l’esclusione del Pdl, sottopostogli dal Cavaliere: decreto poi trasformato, dopo un difficile chiarimento con il premier, in provvedimento interpretativo. Quello degli scarsi poteri del governo è diventato, negli ultimi mesi, un cavallo di battaglia di Berlusconi.
“Noi siamo subordinati al capo dello Stato che interviene su tutte le leggi che facciamo perché se non gli va bene una parola non le firma”, aveva detto lo scorso 26 marzo. “Con i poteri che ha il Presidente del Consiglio l’ipotesi di una prassi che fa intervenire il Presidente della Repubblica addirittura prima che si prendano delle decisioni è veramente una cosa che fa ridere”, aveva detto il 7 febbraio. In altre occasioni il capo del governo è intervenuto rimarcando la necessità di distinguo tra i ruoli di governo e Colle e difendendo l’utilizzo della decretazione. In un’altalena di appelli e correzioni, che ha dato anche molto da fare alla diplomazia sotterranea di Gianni Letta, il confronto tra Berlusconi e Napolitano è stato segnato anche da interventi pubblici del Presidente della Repubblica, che proprio a Verona ha invitato ad uscire al più presto “da anticipazioni e approssimazioni” sulle riforme che non si sa a quali sbocchi concreti e a quali confronti costruttivi possano condurre.
Un appello in cui Napolitano aveva chiesto di non inseguire riforme, come ad esempio quella della forma di governo, “che fino ad oggi hanno ottenuto solo risultati accademici se non veri e propri fallimenti”.
Nel suo editoriale (“L’ultima sfida del Cavaliere al Quirinale”), Scalfari descrive la tensione degli ultimi colloqui tra Berlusconi e Napolitano. Una contrapposizione istituzionale che alimenta il confronto politico, con il Pd che, con Anna Finocchiaro, accusa il presidente del Consiglio di “volere poteri senza controllo” e, a queste condizioni, esclude il dialogo; mentre il sottosegretario alla presidenza Paolo Bonaiuti attacca i Democratici e la loro “centrale di propaganda” che maschera la verità ed ha poca voglia di dialogare.
E c’è chi, nell’opposizione, vede sullo sfondo del nuovo confronto tra Berlusconi e Napolitano la partita sull’iter parlamentare del disegno di legge sulle intercettazioni.
Una partita che potrebbe essere giocata proprio sul filo dell’esistenza o meno di un aggettivo nel testo (“evidenti”): aggettivo che farebbe la differenza nell’inquadrare gli indizi di colpevolezza in base ai quali scatterebbe la possibilità di registrare le telefonate.