Con Alfano vanno 31 senatori e 28 deputati, mentre Berlusconi conserva 64 senatori e 69 deputati. Rottura pure in Scelta Civica: l’Udc di Casini e i popolari di Mauro se ne vanno portandosi 12 senatori e 15-17 deputati
Ciò che era “nei fatti e nelle parole”, come abbiamo scritto la settimana scorsa, si è puntualmente realizzato: nel Pdl c’è stata una scissione tra i governativi guidati da Alfano e i lealisti guidati da Fitto. Fino all’ultimo Berlusconi ha tentato di tenere unito il Pdl, ma non c’è stato nulla da fare. D’altra parte, la domanda se sono stati i governativi a volere la scissione o i lealisti non ha senso. E’ scissione e basta, con gruppi parlamentari separati e con due partiti diversi: Forza Italia per i lealisti con Berlusconi presidente (per ora) e Nuovo centrodestra italiano per Alfano. I numeri: Alfano ha 27 senatori dell’ex Pdl più 4 di Gal (Grande autonomie e libertà) e 28 deputati, mentre Berlusconi con Forza Italia conserva 64 senatori e 69 deputati. Un terzo dell’ex Pdl ad Alfano e la metà a Berlusconi. Il progetto di semplificare il centrodestra con un solo soggetto politico (2008) è miseramente fallito
E tuttavia si tratta di una scissione ben strana. Le scissioni, in genere, comportano insulti e stracci che volano, rotture umane e politiche. Nel caso di cui stiamo parlando non c’è quasi nulla di tutto questo. Berlusconi è riconosciuto leader del centrodestra da tutti, Berlusconi che esprime “dolore” per la separazione di Alfano (“se ne sono andati i migliori”), dice che è stato ed è come un figlio. Anche Alfano esprime “dolore”, dice che tutto poteva pensare che sarebbe successo tranne che avrebbe abbandonato Berlusconi. Il quale, sul palco del Consiglio nazionale di sabato che ha sancito la (ri)nascita di Forza Italia (il nome Pdl sarà il contenitore delle alleanze elettorali) ha invitato i suoi a non scavare nessun fossato con il Nuovo centrodestra, dicendo chiaramente che con Alfano ci sarà un’alleanza alle elezioni. Alfano, d’altra parte, ha ribadito che lui e i suoi voteranno contro la decadenza (ormai certa) di Berlusconi dal Senato e che porranno nel governo il problema della riforma della giustizia, che insomma, porteranno avanti il programma comune e che il nuovo partito è radicato con chiarezza, anche nel nome, nel centrodestra.
Berlusconi ha detto che la rottura non è avvenuta su idee e programmi, ma su divergenze personali, facendo emergere la sua opera di mediazione, fallita proprio su questioni personali. Ci si domanda: bastano queste divergenze personali per fare una vera scissione? No, non bastano, c’è l’atteggiamento verso il governo (per Alfano è un errore sfiduciarlo perché bisogna mettere l’Italia al primo posto, per Fitto è impossibile convivere con un partito, il Pd, che vuole l’annientamento del leader del centrodestra) e c’è il rinnovamento del centrodestra. Alfano vuole un centrodestra con un futuro, quel futuro che Berlusconi, azzoppato dalla condanna, non potrà più garantire a lungo. C’è, in definitiva, la lotta di potere per la guida del centrodestra tra Alfano e Fitto. C’è una sostanziale unità politico-programmatica ma una lotta per il potere interno al centrodestra. C’è stata, dunque, una scissione vera, ma, appunto, atipica per due forze che rompono, sembra quasi una rottura fittizia.
Ed ora cosa succederà in prospettiva? Per tentare una risposta di logica politica, dobbiamo aprire una parentesi, quella dell’altra scissione avvenuta più in sordina mediatica, ma più traumatica politicamente: quella di Scelta civica, il partito di Mario Monti. Qui la rottura si è consumata sulla fiducia “senza se e senza ma” al governo (Mauro e Casini) e sulla fiducia “critica” di Monti e dei suoi, ma soprattutto sulla leadership di Monti, osteggiato, a differenza di Berlusconi, da una buona metà di parlamentari, in primis dall’Udc di Casini e dai popolari di Mauro. Questi ultimi vogliono fare l’ennesimo tentativo del “grande centro” o della nuova Dc, con l’intenzione di saldarsi con il Nuovo centrodestra di Alfano.
Scelta civica di Monti conserva 30-32 deputati e 8 senatori, mentre l’Udc-popolari 15-17 deputati e 8 senatori più Monti. Premesso che riteniamo che per Monti e il suo movimento non ci sia futuro, pensiamo che anche l’Udc-popolari non abbiano molte chance di sfondare. Casini non c’è riuscito finora, non crediamo che ci riuscirà in futuro. Con Monti ha chiuso, con Alfano, stando alle dichiarazioni di quest’ultimo sopra riportate, non dovrebbe avere grandi possibilità, al massimo potrà attrarre una parte del Nci (Nuovo centrodestra italiano), cioè gli ex dc come Roccella, Giovanardi, Dorina Bianchi, Formigoni ed altri. Troppo poco, in più la sua leadership è evanescente. Bravo a far il maneggione, ma non il leader. Con la Lega e gli ex An non pensiamo ci siano prospettive. Ed allora o Casini-Mauro si alleeranno con il Pd di Renzi – cosa possibile, soprattutto se anche il Pd si romperà sulla leadership di Renzi, ma comunque non riteniamo concreta quest’ipotesi – o saranno destinati a vivacchiare con il 2-3%.
Viceversa, se Berlusconi non sarà ulteriormente azzoppato da altre possibili condanne, sarà sempre con lui che nel centrodestra dovranno fare i conti, almeno per i prossimi 3-5 anni (ha 77 anni). Al momento attuale e stando ai rapporti di forza, solo lui è ancora in grado di mettere insieme Forza Italia-Nci-ex An e Lega, con altri satelliti, cioè una forza di circa il 30%, magari anche con il centro di Casini e Mauro se non faranno l’alleanza con il Pd. Nel qual caso, comunque, i due avranno un ruolo minoritario.
Sempre che, beninteso, il partito di Alfano mantenga l’impronta del marchio d’origine.