Un recente studio ha individuato la causa della malattia nell’assenza dell’ipocretina
La patologia neurologica conosciuta con il nome di narcolessia consiste in un’eccessiva sonnolenza diurna, spesso vissuta come ricorrenti attacchi di sonno incoercibili che si manifestano nel corso della giornata. Il problema colpisce circa 1 persona su 2000, a conti fatti lo 0.05% della popolazione, senza distinzione apparente tra i due generi. Deve però considerarsi che è spesso sotto diagnosticata e generalmente si ha un ritardo nella formulazione della diagnosi di circa 10 anni a partire dalla comparsa dei primi sintomi.
Usualmente l’inizio della sintomatologia è nell’adolescenza, tuttavia alcuni studi hanno suggerito che i sintomi possono comparire già nell’età infantile, dai due ai tre anni, o più tardi tra i 25 e i 40. La causa di questa patologia è stata per molto tempo sconosciuta, costringendo medici e ricercatori a concentrarsi sulle possibili cure pur sconoscendo l’origine e la motivazione dei disturbo. Si è poi arrivati ad individuarne la causa nell’assenza dell’ipocretina, una sostanza chimica presente nel cervello per stimolare la veglia. Si era infatti notato come la maggior parte dei pazienti narcolettici avesse carenza di questa sostanza.
Tuttavia la causa di questa carenza non era ancora del tutto chiara. Un recente studio pubblicato sulla rivista Nature e condotto in Svizzera da ricercatori italiani, frutto della collaborazione tra l’Istituto di ricerca in Biomedicina di Bellinzona (affiliato all’Università della Svizzera italiana), il Politecnico di Zurigo e il Dipartimento di Neurologia dell’Inselspital di Berna, non solo ha confermato l’assenza di ipocretina come possibile causa della narcolessia, ma ha anche chiarito il meccanismo che porta alla sua carenza. L’assenza di tale neurotrasmettitore coinvolto nella regolazione del ritmo sonno-veglia è imputabile al fatto che i neuroni che lo producono vengono attaccati dalle cellule immunitarie denominate linfociti T: in questo caso il neurotrasmettitore viene cancellato e non può più assolvere alla sua funzione di regolatore dei ritmi sonno-veglia.
I ricercatori sono giunti a tale conclusione analizzando, in pazienti affetti dalla narcolessia, la presenza di linfociti T che riconoscono l’ipocretina e che possono uccidere direttamente o indirettamente i neuroni che la producono. “Grazie all’impiego di nuovi metodi sperimentali siamo riusciti a identificare i linfociti T specifici per l’ipocretina quali responsabili di questa malattia.
Questi linfociti autoreattivi possono causare un’infiammazione che porta al danno neuronale o addirittura ad uccidere i neuroni che producono l’ipocretina. Bloccandoli nelle prime fasi, si potrebbe prevenire la progressione della malattia”, ha spiegato Federica Sallusto, dell’Istituto di ricerca in Biomedicina. Riuscire a combattere la narcolessia è importante anche per evitare le conseguenze che ne derivano: spesso infatti i soggetti che ne sono affetti sviluppano anche la cataplessia, un disturbo che causa una perdita improvvisa di tono muscolare durante la veglia e che può colpire solo alcune zone ma anche tutto il corpo.
Una situazione a dir poco invalidante che può compromettere la regolare quotidianità anche nei momenti lasciati liberi dalla narcolessia: ad esempio se la cataplessia colpisce la mano, il paziente può far cadere le cose senza poter far nulla per evitarlo. Il disturbo può durare per alcuni secondi o anche per diversi minuti. Tra le altre conseguenze della narcolessia anche le allucinazioni, che possono verificarsi al momento del risveglio ma anche quando ci si addormenta, e la paralisi nel sonno, disturbo che impedisce di muoversi o di parlare mentre ci si risveglia e, in alcuni casi, anche mentre ci si addormenta. Tale disturbo in genere scompare nel giro di pochi minuti ma è un’esperienza che le persone che ne sono affette non hanno esitato a definire terrificante almeno nelle sue prime manifestazioni.
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