Un gruppo di ricercatori italiani ha individuato i geni che predispongono all’infarto, indipendentemente dai fattori di rischio noti. Lo ha annunciato Diego Ardissino, direttore della Cardiologia presso l’AOUniversitaria di Parma
La ricerca è durata la bellezza di vent’anni, ma alla fine ne è valsa la pena. Un noto cardiologo italiano, il professor Diego Ardissino, direttore della Struttura complessa di Cardiologia dell’Azienda ospedaliera di Parma e docente di Semeiotica cardiovascolare dell’Università di Pavia, insieme alla dottoressa Piera Angelica Merlini, direttrice del Centro Ricerca Cardiologico del Niguarda di Milano, e al professor Pier Mannuccio Mannucci, docente di Medicina interna della Statale di Milano, ha scoperto i geni che predispongono l’individuo all’infarto. È possibile eseguire un test per individuare il pericolo di andare incontro ad un infarto. Non è poca cosa, soprattutto se si pensa che l’infarto è una delle cause di mortalità più diffuse.
Gli sviluppi di questa scoperta, nel giro di qualche anno, saranno talmente importanti che si potranno mettere a punto strategie terapeutiche in grado di correggere questo difetto genetico.
Ecco le fasi di questa ricerca descritte dallo stesso professor Ardissino. Innanzitutto com’è nata l’idea di una ricerca di questo genere: “Ogni cardiologo sa bene che in alcune famiglie ci sono molti casi di malattia cardiaca e di infarti acuti, mentre in altre no, anche se magari le famiglie hanno lo stesso stile di vita (…)
Se le malattie cardiache sono più diffuse in alcune famiglie e magari assenti in altre, l’unica spiegazione possibile al fenomeno era quella di tipo ereditario (…) Non dobbiamo dimenticare che il patrimonio genetico di un individuo è il libretto di istruzioni al quale ogni singola cellula obbedisce per svolgere il proprio compito (…)
Abbiamo chiesto a tutti gli ospedali italiani nei quali esisteva un centro di unità coronarica di segnalarci i casi in cui avevano avuto in cura pazienti di età inferiore ai 45 anni.
Un infarto così precoce, infatti, difficilmente è causato dallo stile di vita, per quanto possa essere scorretto e poco sano. Abbiamo selezionato così duemila volontari che ci hanno messo a disposizione il loro sangue da analizzare e poi ne abbiamo arruolati altri duemila, sani ma di provenienza geografica, età e abitudini di vita simili ai primi, per avere un gruppo di confronto”. Tutto questo lavoro ha rischiato di finire in un vicolo cieco, non tanto per l’intuizione alla base della ricerca, quanto per la mole di dati da gestire.
Ma in aiuto del gruppo di ricercatori è intervenuto lo scienziato americano Craig Venter, che ha insegnato al mondo come andava studiato il genoma umano. A questo punto, con le nuove tecnologie, gli scienziati hanno fatto passi da gigante. Ed ecco che cosa esattamente lui e i suoi collaboratori hanno scoperto: “Abbiamo localizzato dove si annida il difetto genetico per cui alcune persone sono predisposte all’infarto mentre altre non lo sono, anche se questi individui hanno un uguale stile di vita.
Così abbiamo messo a punto un test attraverso il quale nel giro di una settimana riusciamo a dire a chiunque se è portatore di quel particolare difetto e ad avvisarlo in tempo, prima che la situazione esploda”.
Ed ora l’ovvia domanda: “Dove si trova il difetto genetico?”.
La risposta è semplice, almeno per il professor Ardissino: “La sede di questa predisposizione è localizzata in una piccola parte del cromosoma nove. Il nostro patrimonio genetico è composto da ventitré coppie di cromosomi.
Tutte le persone che hanno avuto un infarto precoce hanno la stessa anomalia su quel cromosoma”. Allo stato attuale il difetto non si può correggere, però, quando si sarà compresa la funzione di quel segmento di cromosoma, si potranno correggerne gli effetti negativi sviluppando nuovi farmaci o utilizzando quelli esistenti.
Infatti, il valore del test e della scoperta è di prevedere l’evento: se l’infarto può essere previsto, si può intervenire per tempo evitando la morte.
Una volta poi trovate tutte le altre anomalie genetiche che portano all’infarto, si potrà mettere a punto un test definitivo per conoscere il grado di rischio fin dalla nascita e quindi dare a ciascun individuo tutte le informazioni e le cure di cui ha bisogno.