Questa mattina la ministra dell’Istruzione Italiana, Lucia Azzolina, ha rilasciato delle dichiarazioni con cui ha letteralmente bocciato la DAD, la cosiddetta didattica a distanza, che ad oggi “non può più funzionare”
La Dad è uno dei provvedimenti più utilizzati dal Governo italiano per contrastare la pandemia, tanto che in molti hanno accusato il Governo di aver trascurato la scuola e quindi il futuro della nuova generazione. L’Italia è stata tra le nazioni europee che più di altre hanno tenuto le scuole chiuse o che non abbiano mai avuto una certa continuità didattica in presenza. Ce ne siamo accorti noi dalla Svizzera dove, invece, abbiamo avuto il problema opposto, dove la scuola è continuata e in generale continua, anche se i numeri dei contagi suggeriscono azioni più drastiche.
Il Covid ci ha insegnato, a nostre spese, che purtroppo di fronte a ciò che è sconosciuto non siamo in grado di prendere delle posizioni unitarie, sicure e durature: abbiamo poche conoscenze e poche certezze su questa epidemia e tentiamo tante soluzioni per combatterla. Per questo, nel caso della scuola, a nazioni che hanno preferito la chiusura alla frequenza, come in Italia, si alternano nazioni che invece hanno scelto la continuità didattica di presenza, nessuna chiusura scolastica e un ritmo delle lezioni più o meni regolare, come la Svizzera. Chi abbia fatto meglio ad oggi è difficile definirlo con certezza perché ci troviamo ad affrontare la terza ondata con numeri spaventosi un po’ dappertutto. Però, da un lato c’è chi pensa a chiudere le scuole laddove sono state fino adesso aperte, dall’altro lato c’è chi si lamenta della Dad e della chiusura della scuola in presenza. “I ragazzi hanno bisogno di sfogare la loro socialità. Sono molto preoccupata, oggi la dad non può più funzionare, c’è un black out della socialità, i ragazzi sono arrabbiati, disorientati e sono preoccupata per il deflagrare della dispersione scolastica. Ho fatto tutto quello che potevo fare con il governo: le scuole sono pronte per ripartire, ma sono le Regioni che hanno la possibilità di riaprirle o meno”. A far cambiare idea alla ministra ci sarebbe il fatto che la scuola costituirebbe un rischio molto basso di contagio, come dimostrato da alcuni studi, secondo Azzolina, che ancora nel suo intervento di questa mattina afferma: “Sappiamo tutti che il rischio ‘zero’ non esiste, a scuola come in nessun altro ambito. Ma all’interno delle scuole il rischio è molto basso, ci sono tanti studi italiani ed europei che ce lo confermano”. Si tratta di un cambio di prospettiva rispetto all’atteggiamento fino adesso mantenuto, cioè continuando a tenere perlopiù le scuole in Dad.
In Svizzera, invece, un nuovo studio del Politecnico federale di Zurigo (Ethz), riapre la discussione intorno alla validità della chiusura scolastica per frenare la pandemia. Si tratta soprattutto di uno studio che collega la scuola ad una maggiore mobilità: “Con la chiusura delle scuole i genitori sono restati sempre più spesso a casa. Ciò ha influenzato la mobilità e il numero di infezioni”, spiega il professore di informatica e gestione Stefan Feuerriegel che ha condotto lo studio insieme ad una equipe di scienziati. Non a caso, subito dopo le ferie natalizie, è stato Lukas Engelberger, presidente della Conferenza dei direttori cantonali della sanità, a dichiarare che se i contagi da coronavirus dovessero continuare ad aumentare, occorrerà riparlare di una chiusura delle scuole. “Finora abbiamo cercato di risparmiare nella misura del possibile le scuole e il mondo del lavoro”, ha sottolineato il consigliere di Stato basilese, ma in questo momento le cifre dei contagi aprono la possibilità prendere in considerazione delle misure in ambito professionale “o anche a scuola” più drastiche. Anche in questo caso si tratta del collegamento scuola-mobilità, infatti, secondo Engelberger, “se gli allievi seguissero un insegnamento a distanza, i genitori resterebbero anch’essi molto di più a casa”, ha spiegato. Ma si tratta di una soluzione quale “ultima ratio”.
Ad un anno dalla scoperta dell’epidemia, soprattutto in settori come quello della scuola, c’è ancora tanto caos che, anagrammando la parola può diventare “caso”, come a voler sottolineare come certe decisioni sembrano proprio prese “a caso”…