Con la fine della Convention dei democratici a Charlotte – dopo quella dei repubblicani a Tampa – è ufficialmente iniziata la grande sfida per la conquista (o la riconquista) della Casa Bianca. La campagna elettorale è partita e tutto lascia pensare che sarà “sporca e cattiva”, come ha detto il repubblicano John McCain, candidato nel 2008 e sconfitto da Obama, il quale, nella campagna elettorale precedente, parlava del “sogno americano”, di una “nuova America” che in questi quattro anni, malgrado alcuni significativi successi, come la riforma sanitaria, è sempre di là da venire. Il presidente ne è consapevole e per questo ha aggiustato il tiro, sostenendo che nel 2008 “il cambiamento è iniziato”, ma che ha bisogno ancora di quattro anni per “compiere il lavoro” di una svolta vera. Mitt Romney lo sa e sta martellando di spot pubblicitari i cittadini su un tasto semplice e immediato: “Questo presidente non può dirci che stiamo meglio oggi di quattro anni fa”.
Sono due i grandi fattori che, a giudizio degli esperti, possono determinare le scelte dei cittadini e quindi la strategia di ognuno dei candidati per averne il consenso: l’immagine e il programma. Per l’immagine gioca un ruolo fondamentale la famiglia, ma sia l’uno che l’altro, ad occhio e croce, giocano alla pari. Mitt Romney può contare su una famiglia unita e su una bella donna come moglie, di cui è nota la malattia portata con ammirevole dignità e fede: sclerosi multipla. Il candidato repubblicano può vantare di incarnare uno dei valori fondamentali degli ideali americani, l’unione degli affetti familiari, appunto, segnati da una condizione che unisce ancor di più. Poi – e lo diciamo scherzosamente – Mitt Romney può anche picchiare la moglie in privato, ma l’immagine che ne esce pubblicamente è positiva.
Anche quella di Obama è una famiglia unita. Pare che in passato, non lontano di prima del 2008, Michelle fosse una donna volitiva, determinata, radicale. Anche per lui lo diciamo scherzosamente: magari Obama dovrà farsi crescere la barba per mostrare che l’uomo in casa è lui e non sua moglie, ma è un fatto che in questi quattro anni come “first Lady” Michelle lo ha aiutato molto svolgendo quel ruolo che tornava di utilità al marito, cioè di donna che sa stare al suo posto, che s’interessa di beneficenza, che è attenta ai problemi ecologici curando l’orticello o facendo ginnastica con le giovani per educarle alla salute.
Dunque, sul piano dell’immagine, le chance tra i due si equivalgono. Sul programma grava un’incognita, per tutti e due. Per Obama, che deve convincere gli americani che riuscirà a fare più di quello che ha fatto; per Romney, che deve convincere che il suo programma (taglio delle tasse, occupazione e aiuti alle famiglie) è più interessante, credibile e realizzabile di quello dell’avversario che, nel campo dell’occupazione e dei salari, ha deluso tanti. Negli Usa gli esperti di questioni storiche e politiche, nonché di elezioni, dicono che mai nessun presidente è stato rieletto quando il tasso di disoccupazione era superiore all’8%. I dati più recenti, parliamo di qualche giorno fa, dicono che la disoccupazione è dell’8,1%, una cifra che sembra fatta apposta per l’incertezza dell’esito del voto. Anche i sondaggi si dividono. Gallup dice che Obama è sopra di tre punti mentre prima era indietro di un punto, mentre Rasmussen lo dà a meno 1%, ma in risalita da meno 3%. Molto dipenderà da quello che in economia succederà nei prossimi due mesi, ma è chiaro che sarà un sfida all’OK Corral.