Questa settimana celebriamo la giornata del ricordo, che ci permette di spendere qualche pensiero in più su un tema che non deve mai cadere nell’obblio. Il 27 gennaio, come sappiamo, è il giorno della memoria che riporta al dramma terribile della Shoah, un giorno che ci mette di fronte al più cruento dei crimini di massa a cui l’umanità ha assistito e subito nello stesso tempo. Il genocidio degli ebrei, delle minoranze, dei Rom, degli oppositori politici, degli omosessuali e perfino dei disabili trova nel 27 gennaio 1945 la sua fine grazie alla liberazione del temibile campo di concentramento di Auschwitz da parte delle truppe dell’Armata Rossa. Mente negli anni successivi il ricordo era talmente doloroso che forse premeva maggiormente la necessità di dimenticare il male di quegli anni, in tempi più recenti, invece, si è avvertita forte la necessità inversa: bisogna ricordare, non lasciare che i ricordi oramai sbiaditi si perdessero del tutto per riflettere, capire, e soprattutto assicurarsi che quella orribile storia non si ripetesse più. Così nel 2005 – in Italia addirittura già nel 2000 – l’Onu ha istituito questa giornata della memoria per non dimenticare la tragedia dell’Olocausto. Ogni anno, soprattutto nei giorni che precedono o seguono il 27 gennaio, si è reso omaggio al ricordo delle vittime della Shoah attraverso delle giuste celebrazioni, eventi e atti molto sentiti e seguiti, ma ad oggi, alla luce della situazione mondiale attuale, sembra che ogni gesto e ogni sforzo fatto per sensibilizzare e avvertire le generazioni attuali del pericolo che una guerra, l’odio sociale, la sopraffazione dei popoli possono comportare sembra davvero che non trovi più giustizia.
Come facciamo a parlare di Shoah, di memoria, di olocausto quando ogni giorno ci confrontiamo con delle guerre che ci riportano allo stesso clima di odio che il 27 gennaio condanniamo e disprezziamo unanimemente? Non solo l’invasione russa nei confronti dell’Ucraina, una guerra che dura ormai da quasi 2 anni, ma anche la più recente guerra che vede coinvolti Israele e i terroristi di Hamas a Gaza, dove i civili, spesso usati come scudi umani, come prigionieri di guerra e detenuti senza via di scampo, dovrebbero ancora di più riportarci ai terribili ricordi della Shoah. Invece quella memoria è ormai sbiadita, sembra essere sempre più distante dal principale e primordiale obbiettivo di ricordare affinché non si ripetano gli stessi orrori. Il clima è sempre più teso con vecchi fronti sempre in agitazione, come Siria e Yemen, soprattutto quest’ultimo che in queste ore è al centro di una situazione fortemente critica per il libero commercio nel Mar Rosso.
Che la memoria a cui ci siamo fortemente aggrappati in questi anni sia sempre meno resistente al tempo è evidente anche nel dilagante sovranismo in Europa, insieme a più diffusi sentimenti di razzismo e fascismo più o meno occulto. Pensiamo all’Italia, dove alcuni dei maggiori esponenti del governo non si sono mai dichiarati apertamente antifascisti. Pensiamo al recente episodio avvenuto ad Acca Laurentia, con un folto gruppo di nostalgici che, con il pretesto della commemorazione, si lasciano andare a rituali esplicitamente fascisti che ormai non rientrano neanche più nel reato di apologia e soprattutto non colpiscono neanche il pudore umano.
Siamo sempre più vicini al momento anticipato da Liliana Segre, quando disse che “Tra qualche anno non resterà nemmeno una riga sulla Shoah nei libri di storia”, forse perché una nuova storia – con la stessa sostanza – ne sta prendendo il posto, forse perché non siamo stati abbastanza decisi nel diffondere l’orrore estremo che è stata la Shoah, non siamo stati in grado di affermare con forza che il pericolo che può ripetersi è sempre stato in agguato lì, come fuoco, a covare sotto la cenere.
Non dimenticare è il minimo, ricordare è d’obbligo, non ripetersi è necessario.
Redazione La Pagina