Il governo ha varato il decreto legge sulla sanità
Alla fine, il governo Monti è riuscito a varare il decreto sulla salute, preceduto da qualche (sana) polemica sulla tassazione delle bibite con bollicine, tassazione che è scomparsa, anche perché quelli che vi si opponevano non avevano avuto difficoltà a vedervi una tassa mascherata, seppure dal buon proposito di pensare alla salute dei bambini e giovani che ne fanno uso. Bene ha fatto il ministro Renato Balduzzi a toglierla. Due, infatti, sono le cose: o la si mette su tutti gli alimenti che in qualche modo possono alla lunga far male (e nel settore alimentare l’avrebbero dovuto metterla su quasi tutti i cibi confezionati) oppure vale molto di più l’informazione sul prodotto, l’educazione alimentare fatta seriamente da esperti nelle scuole e anche le trasmissioni televisive per tutti, genitori in primo luogo. No alla tassa, ma anche no al latte crudo nelle mense scolastiche.
Prima di illustrare i punti del decreto, che contiene novità positive ma anche qualche confusione, è bene precisare che il decreto dovrà essere discusso alle Camere e che può rischiare anche di essere modificato in peggio, il che non è improbabile dato che le lobby della sanità (medici, amministratori e strutture sanitarie) sono scesi già sul piede di guerra. Grava, comunque, sulla materia del decreto anche l’incognita della sua corretta e seria applicazione. Perché in Italia “le leggi son”, diceva già Dante Alighieri 700 anni fa, “ma chi pon mano ad esse?”. Sulla carta, l’attuale servizio sanitario nazionale funziona a perfezione, ma nella realtà fa acqua da tutte le parti. Pensate, negli ambulatori specialistici degli ospedali, lo specialista ha a disposizione non meno di due infermiere, che spesso per tenersi occupate stanno tutte e due davanti alla stampante per aiutare il foglio ad uscire o per consegnare al medico le carte, cosa che il medico potrebbe benissimo fare da solo. Giusto per fare un altro esempio. Esiste, dal 1998 quando era ministro Rosi Bindi, l’attività intramoenia negli ospedali. Cioè allo stesso medico che lavora nell’ospedale è consentito uno spazio privato a pagamento (da parte del paziente), con una parte della parcella che va all’ospedale stesso. Ebbene, il risultato, già appena dopo l’applicazione della riforma, il cui padre tecnico fu l’attuale ministro Renato Balduzzi, fu ed è che i medici in genere non rilasciano fattura al paziente privato, quindi non solo non pagano le tasse, ma usano materiali e prodotti degli ospedali. Il cittadino, insomma, paga tre volte: il compenso del medico, le tasse che lui non paga e i materiali dell’ospedale.
Le novità nella riorganizzazione sanitaria sul territorio è che i medici di base dovrebbero (il condizionale è d’obbligo) offrire servizi 24 ore su 24, aggregandosi in strutture ambulatoriali in gruppo e/o a turno, in modo che il paziente troverà sempre un medico presente (fermo restando la scelta del medico personale). La nuova struttura ambulatoriale ha possibilità di dotarsi di apparecchiature (per alleggerire il ricorso ai “pronto soccorso”) e comunque dovrà essere in collegamento telematico con gli ospedali. Inoltre, l’attività intramoenia negli ospedali (che secondo noi avrebbe dovuto essere semplicemente abolita in base al concetto che gli ospedali devono funzionare e basta e che il medico è libero di scegliere di svolgere la professione privata o pubblica, ma non tutte e due) dovrà essere compensata con pagamenti tracciabili, rendendo possibile anche un controllo effettivo sul numero delle prestazioni. Come si vede, il nuovo modello è ben strutturato (tra l’altro è nuovo solo in Italia, perché nei Paesi più avanzati, Svizzera in testa, esiste da decenni e decenni), ma l’incognita è sull’applicabilità della riforma, in quanto a provvedere alla riorganizzazione sanitaria sul territorio devono essere le regioni.
Anche sulla scelta e sulle nomine dei direttori generali delle aziende e degli enti Servizio sanitario regionale dovrebbero essere privilegiati il merito e le competenze e non le appartenenze politiche. Una commissione di esperti indipendenti valuterà documentazione e titoli richiesti per la formazione di un elenco dei candidabili a direttori, da cui potranno attingere le regioni che poi dovranno provvedere alla nomina. Il discorso è un altro: se un direttore non controlla e non ha la facoltà di sanzionare chi non fa il proprio dovere, è un dirigente inutile.
All’insegna della lotta agli sprechi c’è la revisione da parte dell’Aifa (Agenzia italiana del farmaco) del prontuario terapeutico per “escludere dalla rimborsabilità medicinali il cui impiego non risulti di interesse al sistema pubblico”. All’insegna della lotta al fumo c’è l’inasprimento delle multe (da 250 a 1000 euro) ai tabaccai che vendono sigarette e prodotti simili ai minori di 18 anni. All’insegna della lotta alla “dipendenza dal gioco d’azzardo patologico” c’è la norma che fissa a 200 (duecento) metri il limite di distanza delle “slot machine” da scuole, ospedali e chiese (prima era 500). Una misura, questa, perfettamente inutile. Contro il gioco d’azzardo da “slot machine”c’era una sola misura: vietarle su tutto il territorio nazionale, mentre si è preferito la misura più blanda e inutile del divieto di pubblicità a lotterie, concorsi a premio, scommesse sportive e a tutti i giochi dove la vincita sia determinata esclusivamente dal caso. Sempre in tema di gioco d’azzardo, viene riconosciuta la “ludopatia”, cioè quella patologia la cui diagnosi comporta una serie di tutele nei confronti di chi ne è affetto. Ciò significa cure gratuite e anche sospensione di eventuali provvedimenti di pignoramento.
Il divieto di pubblicità è un buco nell’acqua, visto che in ogni bar, appena si entra, si è circondati da macchinette mangiasoldi.