Con il complice avevano ucciso l’amico dopo un festino a base di droga e alcol
Hanno organizzato tutto per bene, hanno attirato la vittima a casa con l’offerta allettante di un festino a base di sesso e droga e poi lo hanno barbaramente ucciso, dopo torture e sevizie varie, a colpi di coltello e martello. È questa la fine che ha fatto Luca Varani, il 24enne che è morto per mano dei due sadici complici, Marco Prato e Manuel Foffo, lo scorso 4 marzo 2016. Lo scorso lunedì 20 giugno uno dei due aguzzini, Marco Prato, 31 anni, si è suicidato nella sua cella del carcere di Velletri (Roma), in cui era detenuto. È stato trovato durante il giro di ispezione con un sacchetto di plastica in testa: sarebbe morto soffocato. Il suo compagno di cella non si è accorto di nulla. Il gesto avviene proprio alla vigilia dell’udienza del processo per l’omicidio di Varani per il quale è già stato condannato, in abbreviato, a 30 anni, il suo complice, Manuel Foffo, mentre Prato, a differenza del coimputato, aveva scelto il rito ordinario.
Una lettera per spiegare il gesto
Si sarebbe suicidato per “le menzogne dette” su di lui e per “l’attenzione mediatica” subìta, il 31enne trovato morto nella cella del carcere di Velletri in cui era detenuto per l’omicidio di Luca Varani. Il ragazzo ha lasciato una lettera in cui spiega i motivi del suo gesto. In realtà Prato non ha mai ammesso al sua totale colpevolezza, al contrario di quello che ha fatto Foffo, anzi ha sempre sostenuto di essere un succube dell’amico e complice dell’omicidio a cui addossava totalmente la colpa.
Prato ”è morto all’interno della sua cella stringendosi un sacchetto della spazzatura nella testa e inalando il gas della bomboletta che legittimamente i detenuti posseggono per cucinarsi e riscaldarsi cibi e bevande”, fanno sapere Donato Capece, segretario generale del Sindacato autonomo di polizia penitenziaria Sappe, e Maurizio Somma, segretario nazionale Sappe per il Lazio. Della sua morte non si è accorto neanche il compagno con cui divideva la cella perché stava dormendo.
Si indaga per istigazione al suicidio
La Procura di Velletri non ci vede chiaro è ha deciso di avviare l’indagine per istigazione al suicidio. Il procedimento, coordinato dal procuratore Francesco Prete, è contro ignoti. Non è escluso che l’indagine andrà a verificare se lo stato di detenzione di Prato fosse compatibile con le sue condizioni psicofisiche. Nel frattempo, alla presenza della polizia scientifica, dal pm di turno è stata immediatamente autorizzata la rimozione della salma su cui verrà effettuata l’autopsia.
Sulla morte di Prato hanno pesato vari fattori
Non era la prima volta che Prato aveva tentato il suicidio, ma aveva tentato di togliersi la vita almeno altre tre volte: i primi due tentativi nel 2011 e il terzo nel marzo del 2016, qualche ora dopo l’omicidio di Varani. “La morte di Marco Prato è una tragedia nella tragedia del povero Luca Varani e dei suoi genitori. Non penso che Prato si sia tolto la vita per rimorso e pentimento: né lui né Manuel Foffo si sono comportati bene con i genitori di Luca”. Sono le parole di Alessandro Cassiani, l’avvocato della famiglia di Luca Varani, commentando la notizia del suicidio di Prato. “Credo che alla base del suicidio ci siano più fattori: fermo restando che il carcere era l’unica strada che lui e Manuel Foffo hanno meritato per la gravità del fatto loro attribuito – aggiunge il legale – ritengo che abbiano pesato su Prato la lunga detenzione, l’estenuante attesa del processo che ha dovuto subire due rinvii per lo sciopero degli avvocati quando si sarebbe potuto chiudere in fretta optando per il rito abbreviato, come ha fatto l’altro imputato, e soprattutto il fatto che in udienza avrebbe deposto, su citazione della Procura, lo stesso Foffo, che avrebbe scaricato sull’ex amico ogni responsabilità.
foto:Ansa