Rapporto della “Fondazione Thomson Reuters” sui diritti delle donne nei Paesi della Lega araba
E’ stata pubblicata la classifica dei 22 Paesi musulmani che fanno parte della Lega araba sui diritti delle donne nei vari campi (lavoro, famiglia, politica, società). L’indagine è stata condotta dalla “Fondazione Thomson Reuters” interpellando centinaia di esperti in ognuno di Paesi interessati. All’ultimo posto c’è proprio quell’Egitto dove è nata la “Primavera araba”. Il “nuovo” Egitto che ne era uscito con l’elezione di un nuovo presidente, Mohammed Morsi, era peggio di quello di prima e quello di adesso, magari, non sarà certo diverso. Inutile dire che il panorama è sconfortante. Al penultimo posto c’è l’Iraq dove gli americani hanno fatto la guerra a Saddam Hussein e sono andati a portare la democrazia. Ora, quanto ai diritti delle donne, si sta peggio di quando comandava il tiranno. Al primo posto in classifica si trovano le isole Comore, piccolo Stato della Lega araba retto da una dittatura, che però non discrimina le donne (il 20% dei ministri sono donne) nemmeno sul lavoro, dove ad essere occupate sono il 35%.
Ecco il commento di Monique Villa, amministratrice delegata della Fondazione: “Colpisce che i Paesi delle Primavere arabe siano tra gli ultimi”. Alle elezioni egiziane del 2012 si candidarono 987 donne, ma ne furono elette solo 9: un rifiuto del ruolo pubblico della donna. In Siria – Paese estromesso dalla Lega araba – prima della rivolta il 13% dei giudici erano donne, ora la percentuale si è notevolmente ridotta. Il 99% delle egiziane afferma di aver subito molestie in strada. Commento di Monique Villa: “E’ un fenomeno endemico, socialmente accettato e mai punito”. Come in India lo stupro.
Per quanto la Tunisia occupi un buon posto in classifica, il sesto, si stava meglio quando c’era Ben Alì: “Era un Paese baluardo dei diritti delle donne nella regione, dove l’aborto è stato legalizzato nel 1965, prima che in Italia e ci sorprende oggi ritrovarla più vicina all’Algeria che alle isole Comore”.
L’indagine è stata effettuata tenendo conto di sei indicatori: la violenza contro le donne, i diritti riproduttivi, gli spazi in famiglia, il ruolo nella società, nella politica, nell’economia. Questi indicatori corrispondono esattamente a quelli considerati nella “Convenzione Onu sull’eliminazione di tutte le forme di discriminazione contro le donne”, tra l’altro firmata da 19 tra i Paesi oggetto di sondaggio. In poche parole, in questi Paesi musulmani, vigendo la sharia, cioè la legge islamica, la donna è assoggettata ad essa. Qualche esempio di sharia. In Egitto se una donna musulmana sposa un uomo di un’altra religione può essere incriminata per apostasia, quindi i suoi figli possono essere messi sotto tutela di un altro uomo musulmano. In Iraq chi ammazza una donna “disonorata” ha uno sconto di pena. Rimanendo in Iraq, quando c’era Saddam Hussein le donne lavoravano. Con l’invasione americana la loro vita è peggiorata, perché un milione de seicentomila sono rimaste vedove e l’occupazione femminile è scesa al 14%. Si tratta di un effetto dei lunghi anni di guerra, ma, insomma, prima non si stava così male. Paesi come il Kuwait, l’Oman, il Qatar, retti da monarchie, le donne non sono trattate male e il motivo è uno solo: la ricchezza. Più un Paese è ricco e più migliorano le condizioni di vita e dei diritti. E’ un nesso che in Occidente è ben conosciuto. Ad aggravare dunque le condizioni è la guerra. Il Libano una volta era la Svizzera del Medio Oriente, ora è preda di fazioni armate, anche se trent’anni fa esisteva il diritto di voto alle donne ed esiste ancora.
La conclusione del rapporto è ovvia: le donne sono discriminate dalle leggi islamiche e dall’arretratezza delle condizioni economiche e sociali.
Per la cronaca dove le donne vivono meglio sono le isole Comore, al secondo posto segue l’Oman, poi il Kuwait, la Giordania,il Qatar, la Tunisia, l’Algeria, il Marocco, la Libia, gli Emirati arabi, la Mauritania, il Bahrein, Gibuti, la Somalia, i Territori palestinesi, il Libano, il Sudan, lo Yemen, la Siria, l’Arabia Saudita, l’Iraq e l’Egitto.