Una domenica qualunque, l’ undici gennaio del nuovo anno. Ieri era il mio compleanno. Non ho festeggiato. I motivi per non essere lieti erano molti e in gran parte inattesi. Il grigiore di una bassa nuvolaglia, tipica delle giornate invernali in queste parti della Svizzera, ha ritardato il sorgere dell’alba. Tutto sembra triste, muto. Come quel passerotto che cerca rifugio nel presepe allestito all’aperto dal mio dirimpettaio tra un cespuglio e il fusto dell’albero spoglio. Non l’ha ancora smantellato, il vicino, e forse è un segno di speranza per l’incerto avvenire. Più in là, all’orizzonte, intravedo Rapperswil. Di solito ridente, come lo è questa gioiosa cittadina distesa tra il bagnasciuga del lago e i dolci pendii delle circostanti colline. L’imponente suo castello, eretto nel tempo che fu, è una massa informe di tetro grigiore.
Osservo con animo assente, lontano. Il mio pensiero è già oltre le nubi, alla ricerca di un passato che tarda a farsi memoria del tempo in cui vissi a Parigi i miei anni migliori. Oggi vorrei essere là. Un uomo qualunque tra la milionaria fiumana di popolo, oltre ai tanti capi di stato del mondo, che sfilerà sul boulevard voltaire della storia della grande nazione. Tra la place de la République, de la Nation e la Bastille sul cui pennone fu issato il drapeau ( la bandiera ) con quelle scritte – liberté, égalité, fraternité – che cambiarono il destino della nostra umanità. Sì, oggi vorrei essere là. Con quel popolo mio amico, accecato dal terrorismo criminale e omicida. E forse, chissà?, troverei tra la massa quel ragazzo nero, oramai giovanetto, che mi salutava ogni mattina nel mentre scendevo le scale dalla mansarda in cui abitavo sul canal Saint Martin. Bonjour, Monsieur. Ed era così ogni giorno. Da farmi venire il dubbio che, prima di raggiungere la scuola vicina, lui mi attendesse per il consueto e rispettoso saluto a quell’uomo che apparve, inatteso, nell’anno che celebrò i cento anni della grande dama sfavillante di luci, la torre Eiffel, dal nome del suo progettista, eretta per celebrare l’Expo universale, il trionfo della scienza e dell’arte.
Bonjour, mon ami. E che la sorte ti sia stata amica sino ad oggi e per sempre. Quante volte ho attraversato la Porte de Vincennes oltre la périphérique di quella città tanto amata, incrociando le autostrade che portano al nord verso Lille e il Pas de Calais. Oppure mi sono arrestato, in attesa del bus o di entrare in metro, al negozio Kosher di quell’arrondissement – il nono, se non commetto un errore – popolato dalla comunità ebrea e in cui incontravo il rabbino mio amico con cui usavo scambiare opinioni sul tutto e sul più. Non sempre eravamo d’accordo. Ma sempre con stima e affetto reciproci. Fu lui a indicarmi il cammino che preserva la memoria di un popolo.
Io vivevo nel decimo arrondissement, popolato dalla comunità musulmana e in cui, di ogni giorno e a notte inoltrata, potevi acquistare alimenti, una bibita per un sorso, un ristoro. Più oltre incrociavi il quartiere cinese con quei ristoranti o bistrots arricchiti dal sapore della profumata fondue chinoise.Incrocio di popoli dalle tante culture che pure sapevano e sanno vivere assieme, comprendersi. Non tocca a chi scrive esprimere, oggi, un parere compiuto sui drammatici accadimenti di Parigi. Ben altri studiosi sapranno indicare il nuovo cammino frutto di analisi rigorosa dei fatti e degli avvenimenti. Una cosa mi sembra accertata. Le organizzazioni criminali dell’IS e di Al Qaida hanno l’obiettivo prioritario di provocare uno scontro di civiltà tra le diverse culture religiose e popolari del mondo. Se ci riuscissero, noi, uomini liberi, tolleranti e aperti, avremmo perduto e l’umanità ritornerebbe alla barbarie di un ignoto passato. Alcuni miserabili cialtroni, anche in Italia e per fini inconfessabili, stanno prendendo le strade sporcate dall’odio e dalla xenofobia. Alle menti libere il compito di sconfiggere la paura evitando, nel contempo, i colossali errori compiuti dalle nazioni amiche negli ultimi decenni. Non vi sono modelli da imporre. Come hanno tentato, prima i sovietici e poi le potenze occidentali guidate dagli stati Uniti, in medio oriente ed in Africa. L’undici settembre del 2001, a New York, fu una svolta. All’incrocio con il corso della storia, i capi di quella grande nazione presero, purtroppo, la strada sbagliata. Ancora non tutto è perduto. Oggi piangiamo le vittime di una nuova tragedia. Erano di religioni diverse. Sognavano un mondo tollerante e migliore.