David Cameron ha annunciato un referendum per il 2017 – sempre che sia lui a vincere le elezioni del 2015, per sua stessa precisazione – perché l’Unione europea è troppo invadente, le sue decisioni “lontane” condizionano i desideri e le scelte della gente e ne frustrano gli standard di vita. Pare di capire che se l’Unione permetterà alla Gran Bretagna la garanzia delle sovranità, allora continuerà a far parte dell’Unione, altrimenti sarà fuori.
Lo dice la parola stessa, far parte di un’Unione significa stare insieme e per stare insieme ognuno deve rinunciare a qualcosa, poco o tanto che sia. Esattamente come avviene in una coppia o all’interno di un gruppo, di un sodalizio di lavoro, di un organismo internazionale. In maniera più diretta della Merkel, il presidente francese François Hollande gli ha ricordato che essere membri dell’Ue “comporta degli obblighi”, e, per il discorso di prima, non può che essere così.
Quello delle sovranità è tuttavia una questione seria, talvolta sacrosanta, spesso però è un alibi dietro cui ci si nasconde per mascherare le proprie insofferenze nei confronti di scelte che non si apprezzano, più che altro per interessi di parte, anche se investono un Paese intero. Tutti vorrebbero mantenere la propria sovranità su tutte o tante materie, ma se si vuole creare davvero un’Unione europea, bisogna accettare la cessione della sovranità su materie di interesse comunitario, altrimenti la vera Unione europea non si farà mai. Bisogna convincersi che la strada, difficile, della rinuncia alle sovranità – difficile per Paesi che sono stati divisi e spesso nemici per secoli – è anche quella obbligata.
Esiste un settore in cui la cessione della sovranità potrebbe unire maggiormente più che dividere e costituire un passo fondamentale per l’Unione anche in altri campi: quello della sicurezza. Esistono tanti eserciti nazionali, non esiste un esercito europeo, estremamente importante non solo per unire i cittadini degli Stati membri, ma anche per dare all’Unione europea il suo Status di potenza economica e politico-militare.
In occasione dell’intervento in Libia, due anni fa, non è stata l’Unione europea ad intervenire, ma singoli Stati; adesso che è in corso un intervento militare in Mali, ancora una volta non è l’Ue ad aver deciso e ad aver partecipato, ma solo la Francia, seppure aiutata, più a parole che a fatti, da altri Stati. Ed è stato sempre così anche in occasione di altri interventi precedenti.
Nelle Costituzioni di molti Paesi – tra cui l’Italia e la Germania – il settore militare è legato – e giustamente – solo alla difesa. Tuttavia, all’ombra dell’Onu e per cause giuste o nobili – è difficile stabilire sempre i confini tra cause nobili e cause non nobili quando ci sono di mezzo il terrorismo e le dittature – gli stessi Paesi che “aborrano la guerra come soluzione dei conflitti”, si trovano a combattere cause giuste (e a volte meno giuste) a fianco di quei Paesi che nelle loro Costituzioni non prevedono limiti.
Dunque, l’Ue potrebbe e dovrebbe dotarsi di un esercito dell’Unione, che non coinvolgerebbe direttamente la responsabilità morali dei singoli Stati. Un esercito dell’Unione aumenterebbe il prestigio dell’Europa, esonererebbe i singoli Stati da una decisione d’intervento militare e in più avvicinerebbe e metterebbe a contatto varie centinaia di migliaia di giovani e meno giovani che imparerebbero a conoscersi, a migliorarsi e ad avere ideali comuni.