In Medio Oriente, da qualche tempo è situazione di stallo. Mesi fa, il presidente dell’Autorità nazionale dei palestinesi (Anp) chiese all’Assemblea dell’Onu il riconoscimento unilaterale dello Stato della Palestina. Fu una provocazione per mettere di fronte al fatto compiuto la comunità internazionale, ma i risultati furono nulli. In pratica, non ci fu nemmeno bisogno di ricorrere alla votazione – nel qual caso gli Usa avrebbero posto il veto – perché l’iniziativa non approdò a nessun risultato, ma si impaludò nel nulla di fatto. Da allora lo stallo, nemmeno i negoziati con Israele sono ripresi, tutto è fermo, ma la paralisi non è buon segno, perché i palestinesi sono impotenti, dipendono dagli aiuti internazionali. Paradossalmente, nemmeno Hamas può fare ulteriori danni, dal momento che il filo diretto con la Siria si è assottigliato sempre di più da quando sono cominciate le difficoltà di Damasco. Quando un Paese ha gravi problemi interni, i primi a risentirne sono i rapporti con gli alleati esterni, specialmente con quelli più “bisognosi”, in questo caso, appunto, Hamas, che ha pensato bene di non provocare Israele con i razzi un tempo quotidiani, visto che altrimenti sarebbe facile bersaglio non essendo la Siria in condizione di offrire aiuti di cui essa stessa avrebbe bisogno. Ecco perché, in un’intervista al Corriere della Sera, Abu Mazen ha ammesso: “Noi siamo qui, non possiamo fare altro che vedere se Europa e America vogliono creare questo Stato palestinese”. I palestinesi vogliono due popoli, due Stati con i confini del 1967, gli israeliani vogliono pure due popoli, due Stati, ma non parlano di confini del 1967, dicono che i 500 mila coloni sui Territori è difficile spostarli e che Gerusalemme è una e indivisibile e appartiene a loro. Ognuno ha le sue ragioni, che però non coincidono. Ad Abu Mazen gli Usa, secondo la sua stessa ammissione, hanno chiesto una pausa fino a fine anno”.
Gli Usa hanno chiesto anche a Israele qualcosa di simile ed il motivo è evidente: Obama vuol fare la campagna elettorale senza subire gli intralci di una crisi internazionale. Già, perché anche Israele si trova in una situazione di stallo: non può attaccare l’Iran, come vorrebbe, perché gli Usa avrebbero difficoltà a sostenerlo e nello stesso tempo sa che il tempo gioca a favore dell’Iran. Sarebbe questo, per Israele, il momento più opportuno, perché potrebbe approfittare della crisi siriana. Col passare del tempo, però, la crisi potrebbe aggravarsi per l’aggrovigliarsi dei problemi, ma non c’è altro modo che aspettare. In questo contesto, anche la visita di Monti in Medio Oriente, con colloqui prima con Abu Mazen e poi con Netanhyau, serve a riempire la pausa. Monti ha detto al presidente palestinese che l’Italia e l’Europa sono favorevoli ai due popoli, due Stati, con i confini del 1967, ma è solo una dichiarazione di principio, come lo è la dichiarazione di amicizia dell’Italia con Israele. Monti ha garantito l’impegno con la forza di pace in Libano, ma, ripetiamo, la sua visita non ha smosso le acque, anche perché l’Italia non è in condizione di farlo, non tanto perché il governo italiano è a termine – e non è una colpa di Monti – quanto perché il ruolo che l’Italia in tutti questi anni si è ritagliato è quello – e non è da poco – di sostenere la pace nelle situazioni di crisi, in Libano come in Afghanistan o altrove. [email protected]