Dopo l’abolizione dell’Imu (prima casa), Berlusconi lancia l’idea che si possono creare 4 milioni di posti di lavoro detassando per 5 anni un nuovo assunto a tempo indeterminato
Fateci caso: quelli che vengono definiti i “populisti” per eccellenza in Italia, stando ai sondaggi, otterrebbero l’uno, Berlusconi, il 20-22%, l’altro, Grillo, il 18-20%. Se si mettessero insieme, raggiungerebbero il 38%, cioè sarebbero maggioranza assoluta. E’ chiaro che si tratta di un paragone che non tiene, perché i due sono antitetici. Berlusconi sarà anche un “venditore”, come dicono i suoi “nemici”, termine usato l’altro ieri da Ingroia, ma fa proposte, molte delle quali prima vengono criticate, poi, però, vengono fatte proprie dagli avversari facendole passare per “loro” ricette. Un mese fa, quando il Cavaliere cominciò a parlare di cambiare l’Imu, Monti insorse e dichiarò che cambiare l’Imu avrebbe significato far precipitare l’Italia nel baratro. Ora è lui che ne propone la modifica. E’ uno dei tanti casi.
Dicevamo di Berlusconi e di Grillo. Onestamente, quando è iniziata la campagna elettorale ci aspettavamo che il 18% di Grillo tendesse a sgonfiarsi. Essendo un vero populista, colui cioè che critica e ci mette anche la giusta dose di rabbia, in mancanza, però, di proposte credibili pensavamo che la gente lo avrebbe abbandonato per ritornare ai partiti di provenienza o giù di lì. Invece no, Grillo sarà la rivoluzione di queste elezioni, anche se i suoi voti rimarranno congelati. In fondo, sarà la coscienza critica di tutti i partiti e in questo senso, specie se col tempo da protesta diverrà proposta, svolgerà un ruolo molto positivo. Ritorniamo, per un po’, ancora a Berlusconi e alla sua idea secondo cui è possibile creare in Italia 4 milioni di posti di lavoro. Ancora una volta, l’idea è stata tacciata di “populismo”, di “promesse senza senso”, e via dicendo. La realtà è che non è un’idea senza fondamento.
Nel 2001 lanciò l’idea di poter creare un milione di posti di lavoro. In realtà di posti di lavoro ne creò, ma di meno, ma non per colpa sua. L’idea poggiava sulla deroga per tre anni all’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori. Se un’impresa assume più di 15 operai passa da una condizione fiscale ad un’altra, più pesante, per cui chi vorrebbe o potrebbe assumere anche una sola persona in più, non lo fa in quanto assumere costa di più. Di qui la deroga, che non fu concessa per ondate di scioperi da parte della Cgil, levate di scudi in Parlamento, eccetera. Ora è tornato alla carica con una proposta simile. Dice Berlusconi: se le imprese per ogni giovane nuovo assunto a tempo indeterminato non pagassero le tasse per cinque anni, essendoci quattro milioni di imprese in Italia, si potrebbe aumentare l’occupazione di circa 4 milioni di posti di lavoro. In questo modo, con tanti occupati in più, l’economia (cioè gli stipendi, i consumi, la crescita) si rimetterebbe in moto. Solo chi è prevenuto potrebbe ritenere quest’idea senza senso.
Abbiamo citato questa idea perché fa parte di quelle sulle quali il Pdl scommette per una rimonta, che c’è stata, ma che non basta. Stando agli ultimi sondaggi citati da Berlusconi, il centrodestra starebbe a 1,7% dal centrosinistra. Stando ad altri sondaggi, la differenza starebbe ancora attorno al 5-7%. I sondaggi, per fortuna, sono stati chiusi nelle ultime due settimane prima del voto, quindi si andrà direttamente ai risultati elettorali.
Notiamo che il centrodestra, almeno in questo periodo, né ha proposto grandi coalizioni, né è stato invitato a farne parte. L’ipotesi riguarda il centrosinistra e la lista Monti. Tuttavia, su un punto Berlusconi è stato chiarissimo con gli avversari: offre il contributo del centrodestra sulle riforme istituzionali, necessarie per modernizzare l’Italia e sottrarla all’ingovernabilità, comunque camuffata, anche all’interno delle singole coalizioni. Lui, quella riforma, l’approvò alla Camera e al Senato definitivamente nel 2005 ma fu rifiutata dal referendum abrogativo lanciato dalla sinistra. Quella riforma prevedeva, tra l’altro, la diminuzione dei numero dei deputati e senatori, il Senato delle Regioni, quindi l’eliminazione di un doppine, maggiori poteri al premier di decisione e di revoca dei ministri, eccetera, tutte cose che ancora tutti continuano a chiedere mentre già ce le avevano. La partita tra i leader Pdl e Pd riparte dalla battuta di Bersani (“Smacchieremo il giaguaro”) e dalla replica di quest’ultimo (“Fate pure, scoprirete un leone”).
Chiudiamo con Gabriele Albertini e Oscar Giannino. Il primo, ex Pdl passato con Monti, candidato alla Regione, è percepito da parte di un gruppo di centristi come candidato “inutile”. Non c’è solo Borletti Buitoni a confessare di votare direttamente per Ambrosoli (centrosinistra), ce ne sono vari altri, tanto che lo stesso Monti è dovuto intervenire per dire che “è sbagliato”. Che molti centristi vogliano l’alleanza con Pd è confermato anche da queste scelte. Il secondo, Oscar Giannino, liberale, ex Pdl pentito, ha fondato “Fare per battere il declino”. Anche lui si candida a presidente della Lombardia, ma farà a destra ciò che Ingroia farà a sinistra: toglieranno rispettivamente voti il primo a Maroni (Lombardia) e al centrodestra (Senato) e il secondo a Bersani (politiche). Se però Bersani è in una botte di ferro, non si può dire altrettanto né di Maroni, né del Pdl.