Chi non vorrebbe lavorare tranquillamente da casa propria con tutte le comodità che ci offre l’ambiente intimo e familiare? E invece lo smart working sembra confermarsi un vantaggio di cui molti farebbero volentieri a meno
Insieme a “pandemia”, “epidemia”, “Covid”, “lockdown” e “tampone”, se c’è una parola che è entrata a far parte prepotentemente del nostro quotidiano è proprio “smart working”, ma quest’ultima è più beffarda delle altre. Infatti, mentre le prime hanno solo una connotazione negativa che riguarda concetti come “imposizione”, “sofferenza”, “sopportazione”, “chiusura”, “paura”, etc., lo “smart working” aveva illuso tutti quanti presentandosi come una soluzione positiva e risolutiva da cui trarre solo vantaggi di fronte ad una situazione tanto avversa come quella della pandemia da coronavirus. Dopo un anno di smart working, telelavoro, lavoro da remoto, come si vuol definire, la pensiamo ancora così? Senza alcun dubbio no.
Lo chiamano smart working, cioè lavoro agile, perché permette di svolgere il proprio lavoro in condizioni più semplici, senza vincoli di orari o di luoghi e consente una assoluta autonomia nello svolgere le proprie incombenze. Ma nel momento in cui siamo stati obbligati ad utilizzare questa modalità di lavoro le cose si sono dimostrate ben diverse e i benefici, qualora ancora ve ne fossero, sono stati totalmente oscurati dagli svantaggi.
Lavorare da remoto in lockdown è certamente diverso da lavorare in smart working per scelta. Il lockdown che stiamo subendo o abbiamo subito in questo periodo ha creato delle condizioni di convivenza familiare forzata che ha un po’ spezzato l’incantesimo dello smart working mostrandone i veri lati oscuri.
In uno studio Inail sono state messe in evidenza le criticità del lavoro da remoto in emergenza, mostrando uno scenario davvero poco favorevole sotto diversi punti di vista, da quello lavorativo a quello familiare e perfino del benessere psicofisico del lavoratore. Tra le maggiori criticità ci sono “la sovrapposizione tra ambiente lavorativo e domestico; la mancanza di una preparazione adeguata dei lavoratori alla visione complessiva dei rischi; difficoltà e, talora, impossibilità nel separare spazi personali e familiari con cicli e tempi di lavoro”. Secondo questa indagine, lo smart working in emergenza ha comportato una “pericolosa promiscuità tra vita lavorativa e personale, che spesso si traduce, come attestano le statistiche, in un elevato numero di infortuni domestici”.
Per non parlare dei turni di lavoro davanti ai pc che diventano infiniti, molti lamentano di iniziare la mattina e continuare fino a sera inoltrata ad intermittenza, in questo modo non si calcolano più le ore di lavoro che sembrano estendersi smisuratamente.
Le difficoltà si complicano ulteriormente se i lavoratori sono genitori e hanno anche l’incombenza dei figli in casa e perfino di seguirli in DAD o altro.
Infine molti lamentano un aumento non indifferente dei consumi di casa. Non è difficile da capire: più si sta in casa, più aumentano i consumi, è una conseguenza logica. Ma di quanto? Secondo lo studio condotto da SOStariffe.it l’aumento dei costi per smart working da casa va da un minimo di 145 euro ed un massimo di 268 euro all’anno in più. Certo, si risparmia sui trasporti, ma c’è chi ha dovuto attrezzarsi di strumenti per poter lavorare o le famiglie con figli hanno dovuto attrezzarsi di connessioni migliori e più potenti e perfino di diversi pc, fissi o portatili. In questo modo, il risparmio sui trasporti si annullano.
E la salute? Beh, pare che anche quella abbia risentito della situazione. Secondo uno studio condotto dall’Università di Basilea la situazione attuale ha avuto un forte impatto sullo stress psicologico, in modo particolare durante la seconda ondata di Covid-19. Secondo lo studio condotto dall’ateneo svizzero, tra gli aspetti che influiscono fortemente sullo stato di stress psicologico e sintomi depressivi ci sarebbero anche le preoccupazioni dovute all’aumento dei conflitti a casa, nonché le preoccupazioni dovute a un cambiamento della situazione lavorativa, scolastica o formativa causato dal Covid-19.
Un’ulteriore conferma arriva dalla ricerca condotta da OpenText, società attiva nell’offerta di soluzioni e software di Enterprise Information Management, nella quale emerge che chi è alle prese con lo smart working lamenta una certa fatica a gestire il sovraccarico di informazioni, molti recriminano di non possedere gli strumenti tecnologici e digitali adatti per svolgere le proprie mansioni da remoto e non mancano neanche quelli che non riescono a “staccare” davvero, a causa del costante flusso di informazioni con cui si devono confrontare.
Nessuna convenienza allora? Non proprio. A godere degli aspetti positivi dello smart working sono soprattutto le ditte e le aziende, più in generale i datori di lavori, che vengono sgravati dei costi di mantenimento degli uffici, non solo cari ma anche difficili da mantenere in piena sicurezza. Per questo motivo si pensa che il futuro delle aziende sia quello di adottare lo smart working come regola e non solo come eccezione o per accordi col lavoratore. Lo smart working, ormai è una realtà effettiva e che è largamente diffusa un po’ in tutto il mondo e l’idea predominante è che il lavoro da remoto aumenterà rispetto al periodo pre-Covid, ma soprattutto che si imporranno in particolare delle forme miste ufficio/casa. A goderne sarä anche l’aspetto ambientale ed energetico: con meno uffici ci saranno meno spostamenti e di conseguenza anche meno traffico e minor emissione di smog.