Organizzata da Unicef e Unfpa a Roma la Conferenza internazionale su una pratica dolorosa e incivile diffusa in 29 Paesi dell’Africa, dell’Asia e del Medio Oriente
Circa un anno fa l’Assemblea generale dell’Onu ha votato una risoluzione in cui si condannano le mutilazioni genitali femminili. Una risoluzione non è una legge, è una raccomandazione, un messaggio che indica una direzione a cui i governi aderenti dovrebbero conformarsi. Non è un obbligo, dunque, ma quando una raccomandazione viene da un organismo internazionale come l’Onu vuol dire che la materia è da prendere in seria considerazione.
Le mutilazioni genitali femminili sono una pratica molto diffusa tra i popoli africani e mediorientali, oltre che asiatici. Hanno origini antiche ma non per questo sono da accettare, anzi, vanno fermamente sradicate. La risoluzione dell’Onu ha voluto equiparare le mutilazioni ad una violazione dei diritti umani e fondamentali delle donne e delle bambine. Ecco, chiarita la cornice, entriamo nei dettagli. Il primo dei quali è che malgrado la condanna Onu, malgrado la risoluzione abbia incoraggiato le attiviste che operano sul posto, la pratica continua ad essere diffusa, talmente diffusa che le conquiste in questo campo sono avvenute per lo più a livello teorico.
Il secondo dettaglio è rappresentato dalla Conferenza internazionale organizzata nei giorni scorsi a Roma da Unicef e Unfpa, rispettivamente l’organizzazione che si occupa dell’infanzia e del Fondo Onu che sostiene lo sviluppo dei diritti umani. Lo scopo della Conferenza, presieduta dal ministro degli Esteri italiano, Emma Bonino, è stato quello di intensificare e coordinare gl’interventi politici, legali e finanziari per far sì che le mutilazioni diventino un argomento di sensibilizzazione presso le popolazioni interessate, affinché nasca un movimento di opposizione a questa pratica che è al tempo stesso dolorosa e incivile.
Il terzo dettaglio è che alla Conferenza hanno partecipato 17 Stati africani e numerose organizzazioni non governative (ong), nonché osservatori di Paesi che hanno donato fondi per questa causa. Il quarto dettaglio importante lo ha descritto il direttore esecutivo dell’Unfpa, Babatunde Osotimehin, che ha ricordato che la pratica delle mutilazioni genitali è sempre molto diffusa e che riguarda circa 125 milioni di bambine in 29 Paesi africani, dell’Asia e del Medio Oriente: “C’è dunque ancora moltissimo da fare”.
Ecco quello che ha detto Emma Bonino in apertura della Conferenza: “In varie parti del mondo stiamo assistendo ad una sorta di risveglio al femminile, un ritrovato attivismo che si esprime a macchia di leopardo sui fronti più disparati, dai diritti umani a quelli economici e sociali. E’ un fenomeno estremamente positivo che dobbiamo assecondare e accompagnare. La conoscenza è uno snodo decisivo, un diritto è privo di sostanza se i beneficiari non sono coscienti di poterlo invocare e pretenderne il rispetto”.
Emma Bonino ha messo l’accento sul fatto che in Paesi come l’Egitto e in Tunisia, in seguito alle cosiddette “primavere arabe” c’è stata non solo una battuta d’arresto nella lotta alle mutilazioni, ma addirittura un passo indietro. Di qui la necessità di incrementare l’impegno. Il ministro italiano ha ricordato il contributo dell’Italia che dal 2008 ha stanziato circa 8 miliardi di dollari in favore del programma congiunto Unicef-Unfpa contro le mutilazioni. Ha precisato il ministro: “Mantenere gl’impegni presi non è facile, anche di fronte all’opinione pubblica italiana, ma spero che la società civile mi sostenga nella decisione di continuare il nostro sostegno, anche finanziario, a questa campagna”.
La Conferenza di Roma è uno dei passaggi attraverso cui si snoda la campagna di sensibilizzazione su questo argomento che comunque finora ha portato alla dichiarazione pubblica di abbandono di tale pratica da parte di quasi diecimila comunità in 15 Paesi dove essa è diffusa.