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20 September 2024
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Scrive chi legge

Sovraprodotto e bispensiero (La libertà è schiavitù)

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Guardateli, questi superflui! Acquistano ricchezze e così diventano più poveri. Potenza, essi vogliono, e prima di tutto la leva della potenza, molto denaro questi incapaci! Guardate come si arrampicano, queste agili scimmie! Nell’arrampicarsi si scavalcano a vicenda e così si trascinano nel fango e nella bassezza. Tutti quanti vogliono giungere al trono: la loro demenza è credere che sul trono segga la felicità! Spesso è il fango che siede sul trono e spesso anche il trono siede sul fango. (Zarathustra)

Premessa il termine “bispensiero” venne coniato nel romanzo di Orwell “1984”, e sta ad indicare il meccanismo mentale che consente di ritenere vero un qualunque concetto e il suo opposto, a seconda della volontà del Partito, dimenticando nel medesimo istante, aspetto questo fondamentale, il cambio di opinione e perfino l’atto stesso del dimenticare. Come premessa al tema del “sovraprodotto” ho inserito il termine bispensiero come metafora, per rendere più trasparente l’agire dell’onnivoro neoliberismo che può agire unicamente grazie al nostro consenso, e alle contradditorie circostanze cui veniamo coinvolti ad ogni imposizione scritta nella loro agenda. Stimo coloro che sacrificano il loro tempo per leggere i miei lunghi sermoni, che richiedono perseveranza e cura del pensiero critico sempre meno popolare. Chi non si invaghisce della mia narrativa, è pregato di desistere nella lettura, e se proprio vuole dedicarmi la sua attenzione, consiglio di svolgere i seguenti esercizi immunizzanti per quei neuroni ancora attivi, dalle false visioni e dalla pigrizia diffusa, alla riflessione e approfondimento come mantra da seguire. In alternativa vi sarebbe Google per scoprire il senso della vita.

Esercizi di bispensiero Non dobbiamo mai perdere la fiducia, pena ritrovarsi a ragionare scettici e sospettosi, sull’operato della politica, delle corporation o della saggezza dell’OMS e delle sue agende. Andreste in depressione interpretando come in un mantra oppiaceo, ogni azione dall’alto come un complotto da parte di inquietanti incappucciati di qualche cricca elitaria, che vuole sottometterci e ridurre a schiavi atomizzati. Svelare i bispensieri e diffonderne il significato potrebbe dare molto fastidio ai promotori, che con tanto zelo diffondono la neolingua 24h. Alcuni inconsciamente ci hanno provato con il covid (pochi), altri con la guerra in Ucraina, con il clima o le ossessioni gender e la condanna delle attuali politiche belliche israeliane. In questo autoespellersi dalla società diventa gravoso fare conversazione vera o educare i propri figli. Basta frequentare uno di questi pericolosi negazionisti-complottisti che aspettano uno sbarco alieno o evitano di prendere un aereo per la paura, di andare oltre l’orizzonte e cadere nell’iperuranio. Dobbiamo smetterla di pensare alla storia e opprimere il vizio della memoria. Non alieniamoci da questo mondo che tanto progresso e benessere ci ha regalato! Esiste, per liberarmi dalla patologia del pensiero critico una cura fatta di esercizi facili da eseguire giornalmente. Sono frasi brevi da sillabare durante i momenti morti della giornata, ma che hanno un effetto immediato per una rapida guarigione. Eccone una dose iniziale: Putin è il nuovo Hitler e arriverà con le sue truppe fino a Lisbona, bisogna fermarlo mandando armi – picchiare i fascisti è antifascismo – salviamo il pianeta e compriamo tutti una macchina elettrica – la società dell’inclusione da rispettare, pone attenzione a quello che dici se no ti escludono – chi è stato obbligato per legge a vaccinarsi ha giustamente firmato il libero consenso – potevi assembrarti per ritirare il green pass, ma non per incontrare gli amici – i giovani devono socializzare ma la didattica digitale è il futuro – se ti senti donna ma sei un uomo puoi sentirti donna – se ti senti giovane ma sei anziano puoi essere giovane – se ti senti ricco ma sei povero puoi essere ricco (questa non si può dire) – Il digitale non inquina e non consuma, i dati immagazzinati nelle cloud sono in uno spazio metafisico privo di effetti energivori ed ecologici – I tre slogan orwelliani: «La guerra è pace», «La libertà è schiavitù», «L’ignoranza è forza». Se vi sono piaciute queste frasi del bipensiero vivete tranquilli, tanto anche se tutto andrà a rotoli la beatitudine è a un passo. In modalità seriamente autoironica e recidivo, tematizzerò sul lavoro bistrattato e delle conseguenze del sovraprodotto sulla società tecnocratizzata.

Il sovraprodotto da eliminare Il lavoro è lo strumento attraverso il quale la persona si realizza, crea benessere e progresso nella vita del singolo e nella società intera. Alcuni sostengono che quasi tutti siamo condannati al lavoro perpetuo e non basta la natura, gli svaghi o le infinte ideologie spirituali a renderci realmente felici. La tecnologia ha poi evoluto il processo di produzione nel tempo, e con esso il nostro divenire palesato di mente e corpo e a volte di idee. Tanta tribolazione genera un prodotto sociale che, pur iniquamente, viene distribuito ma non del tutto consumato. Quel che rimane è il sovra-prodotto (o surplus), la cui rimozione è stata, ed è, per i potenti, o come volete chiamarli, una necessità esistenziale. La penuria di molti per il dominio del 1% dei potenti che, pur aumentando notevolmente il benessere di tutti e creando una libertà dal bisogno, si sono inguaiati per l’intrinseca mancanza di limite in contraddizione al concetto di necessità. Quindi le merci prodotte e i servizi riconducibili concretizzano il plusvalore che deve venderlo, obbligando l’acquirente a pagarle e rendendo la domanda “solvibile”. Si concretizza così nel prestito al consumo, con l’inezia “trascurabile” degli interessi da versare alla banca, che assumendo poi dimensioni di massa, genera bolle speculative o se preferite crisi di sovrapproduzione. Alcuni esempi con cui si agisce per sopprimere il surplus, sono, la distruzione di prodotti agricoli come mele o arance per sovraproduzione, rispetto alle quote che il mercato impone. Abbiamo poi l’obsolescenza programmata che definisce il ciclo vitale di un prodotto, limitandone il funzionamento a un periodo prefissato e un decadimento che stimoli il consumismo spinto. L’uscita dal listino dei prodotti che impedisce la loro riparazione in aggiunta della strategia del come è bello e più funzionale il nuovo, che ci fa sentire fighi. È compito poi della pubblicità nella martellante propaganda dell’insoddisfazione del consumatore, che propone il bisogno di sostituire, ciò che già si possiede, con merci nuove. Come ultimo sovraprodotto è nata l’ideologia green, che sverniciando di verde l’economia, privatizza i profitti e socializza i costi. Una verità scomoda proclamata dall’economista Emmanuel è la seguente: nei Paesi ricchi la parte maggioritaria della classe operaia (per non parlare dei salariati in generale) migliora il proprio benessere usufruendo di una parte dei dividendi della rapina imperialista, e dunque non ha interesse materiale a formare un’alleanza internazionale con la classe operaia dei Paesi poveri. E ancora: la pari dignità di tutti i popoli è incompatibile con il nazionalismo e il protezionismo, tanto quanto lo è con il militarismo.

In verità, colui che poco possiede è tanto meno posseduto: sia lodata la piccola povertà! Là dove lo Stato finisce, comincia l’uomo che non è superfluo: là comincia il canto della necessità, la melodia unica e insostituibile. Là dove lo Stato “finisce” guardate, guardate fratelli! Non vedete l’arcobaleno e i ponti del superuomo? Così parlò Zarathustra

Grazie allo stato Nonostante la narrativa della produttività come indice di crescita, lo spreco privato è necessità per il mercato, ma non è sufficiente. La troppa capacità produttiva rispetto alla richiesta solvibile, oltre al massacro dei ceti medi, continua a deprimere la domanda complessiva. Grazie allo stato che con gli introiti fiscali, principalmente dei lavoratori e dei loro risparmi, disperde gran parte di queste entrate, a fronte delle crisi emergenziali indotte in cui la sovrapproduzione diventa insopportabile. Le banche centrali immetteranno nuova liquidità, facendo aumentare il debito che lo stato dovrà restituire, rispettando le austerità imposte a danno degli ultimi uomini. Il come è secondario, l’importante è che la circolazione del denaro non si interrompa scongiurando il crollo economico. Permane inesorabile la ruota degli sprechi, finalizzati per promuovere lavori inutili per eventi e grandi opere, più per prestigio personale o per aiutare gli amici degli amici. Si sosterrà, forse, l’economia ma si contribuirà, a disperdere, senza indiscutibile utilità, parte del prodotto sociale a scapito del welfare. Altro esempio abominevole sono le guerre apparentemente osteggiate dalle classi politiche, ma imprecate dai detentori del capitale che con il loro mantra: Distruggere per poi ricostruire…che pacchia, per un sistema in sovrapproduzione, con delega a tutti gli assembrati e codardi leccapiedi dei politici e al sistema di propaganda dei giornaloni e delle tv pubbliche, come valida alternativa all’intrattenimento intelligente. Fa specie che l’eliminazione del surplus, nonostante la sua importanza economica, sia misconosciuta, come spiacevole fenomeno collaterale da deprecare. Solo una radicale riforma di questo fenomeno può salvarci dalla follia in atto.

L’ideologia del Jobs Act Il precariato non crea nuovi posti di lavoro, e riduce le tutele dei lavoratori, oltre ad un calo delle retribuzioni reali e della quota salari, aumentando i profitti dei datori tramite decontribuzioni di sgravi fiscali (grazie al PD-Renzi). Oltre a togliere dignità all’essere umano, ne decreta il senso di fallimento, lo rende fragile e, a volte, facile preda alla tentazione della corruzione. Adottato poi una politica economica, che ha assecondato un sistema di piccole imprese frammentate, poco efficienti e spesso abili di restare sul mercato, grazie a prebende pubbliche, evasione fiscale, bassa sicurezza e precariato. Provocando una crisi di produttività e declino competitivo con i conseguenti fallimenti. Senza dimenticare la delocalizzazione della grande industria, e lo shopping a prezzo di saldo, da parte di investitori esteri di molte quasi tutte le aziende pubbliche e no. (Draghi docet)

Dialogo tra precari: Moriremo precari? Scherzi risponde l’altro, c’è la vecchiaia senza pensione.

Partecipazione contrastata La rivoluzione sociale non è da intendere come semplice ridistribuzione dei beni materiali e soddisfazione dei diritti individuali e sociali, ma come rivoluzione dal basso in cui il popolo che prende la parola nella politica, rivendica il proprio dissenso. È in atto la distruzione della scuola che dovrebbe essere il corpo medio sospeso, tra famiglia e mondo del lavoro, in cui si impara a prendere la parola, a sviluppare un pensiero critico e ad ascoltare e decidere assieme. Come contrasto a questo sano agire, si forma sempre più l’operaio-tecnico ubbidiente che cela sempre più il timore della partecipazione. Gli istituti tecnici sono riqualificati per indurre delle scelte programmate, mediante un’operazione di “ridimensionamento programmato” di talune discipline spesso umanistiche e di intronizzazione di altre che consentono al mercato di proliferare e radicarsi. In questo declino conservatrice-reazionaria iniziata con la perdita dell’autonomia delle scuole, si formano il tecnico e si ridimensiona l’uomo. Sottomettendo e condizionando le personalità dei giovani, con i movimenti dell’ideologie dell’inclusività, formando personalità specializzate nella lingua del mercato, si valuta unicamente per prestazioni, calcoli e risultati. Nasceranno così personalità anonime da inserire nel mercato, e come per gli adulti, le resistenze personali saranno vinte con l’abbaglio della carriera e la minaccia della marginalità sociale, che porta al disprezzo verso ogni attività non funzionale al mercato. La privatizzazione e aziendalizzazione della scuola ha accelerato tale processo, al punto che i titoli determinano la professione, generando una società per caste, il cui valore dipende dal suo prestigio monetario finanziato dai detentori del capitale stesso.

Condanna al lavoro mercificato? Gli effetti delle nuove tecnologie sui lavoratori conducono a tre problematiche che sono: l’intensificazione, la sua ergonomia e il suo controllo. Saremo sempre più condannati ad un lavoro precario con una vita digitale o avremo una vita povera con il lavoro digitale? Con L’intensificazione si avrà un generale aumento dei ritmi lavorativi e la riduzione di pause e tempi morti (non produttive), come lo scambiare due parole con il collega, gli spostamenti inutili o andare al bagno. Per l’ergonomia in riferimento alle problematiche sulla salute psico-fisica troviamo un aumento generalizzato di stress, ansia, depressione e l’aumento degli infortuni da usura prolungata nel tempo. Adottando posture di lavoro sempre più fisse e immobili, ponendo il lavoratore nella condizione di rinunciare spontaneamente a quelle posture ergonomiche insegnate nei corsi di formazione. Per la problematica del controllo, le nuove tecnologie favoriscono il monitoraggio dei comportamenti e delle performance del lavoratore, rendendolo economicamente più efficace e mettendolo alla mansione giusta, obbligandolo ad una rigorosa disciplina. Con l’applicazione dell’IA si rafforzano tutte le problematiche sopra citate, tramite il “supply chain management”, sincronizzando e standardizzando i singoli passaggi produttivi che la merce percorre fino a diventare un prodotto finito. Un altro sistema di controllo è lo strumento wearable con GPS che monitora se il lavoratore esce dall’area consentita, si toglie il casco o adotta altri comportamenti anomali come svuotare la vescica. Lo sanno gli “schiavi moderni” che lavorano negli hub di Amazon costretti d’indossare il pannolone.

Il farisaico utilizzo dell’IA spacciata come intelligente, data dall’immensa capacità di calcolo e dai Big-Data disponibili con i famigerati algoritmi che ne determinano la funzionalità. L’IA si diffonde principalmente in quei settori delle filiere produttive che consentono maggiori profitti e quindi investimenti più grandi, come quelli della commercializzazione del prodotto e dell’assemblaggio hi-tech nel campo farmaceutico e dei trasporti, così come del ceto impiegatizio. Di conseguenza chi governa i processi innovativi e tecnologici, è indirizzato al raggiungimento di obiettivi diametralmente opposti a quelli delle classi subalterne prive di una rappresentazione sindacale autonoma e condivisa. Gli esuberi in aumento, si addosseranno la colpa di ogni fallimento e un diffuso senso di rassegnazione esistenziale. Finita la lotta di classe, prevale la lotta esistenziale della gleba atomizzata e pauperizzata. Il noto scrittore, storico e pedagogista Ivan Illich riflette sulla tecnologia e gli strumenti della società industriale capitalistica votata al “progresso” infinito e consumo di massa e individua “due soglie di mutazione”. Nella prima si applica un nuovo sapere alla soluzione di un problema chiaramente definito, e con criteri scientifici si arriva a misurare l’aumento di efficienza ottenuto. Ma, in un secondo tempo, il progresso realizzato diventa un mezzo per sfruttare l’insieme del corpo sociale, mettendolo al servizio dei valori che una élite specializzata, sola garante del proprio valore, stabilisce e rivede senza tregua”; è a questo punto che “un’attività umana esplicata attraverso strumenti, supera una certa soglia definita dalla sua scala specifica” e quando accade, quell’attività “prima si rivolge contro il proprio scopo, poi minaccia di distruggere l’intero corpo sociale”. Occorre limitare il potere dello strumento e mi domando, se saranno i politici i tecnici o gli studiosi che sviluppano l’intelligenza artificiale, che ne discutono in consessi internazionali a decidere? Serviranno le mie farisaiche esposizioni sull’utilizzo ormai invasivo, che oltrepassa la seconda soglia e crea “uniformazione regolamentata, dipendenza, sopraffazione e impotenza”? Per noi carne da cannone è materia specialistica e non comprensibile. Abbindolati dal mito della scienza, obbediamo all’esperto che non ci rappresenta, accettando ogni condizione di una vita sempre più alienata dalla realtà. I cui i monopoli sovranazionali delle Big-Tech, si fondano sul possesso esclusivo di un sapere celato.

Degli ultimi uomini Si continua a lavorare, perché il lavoro intrattiene. Ma ci si dà cura che il trattenimento non sia troppo impegnativo. Non si diventa più né ricchi né poveri: ambedue le cose sono troppo fastidiose. Chi vuol ancora governare? Chi obbedire? Ambedue le cose sono troppo fastidiose. Nessun pastore e un sol gregge! Tutti vogliono le stesse cose, tutti sono eguali: chi sente diversamente va da sé al manicomio. Così parlò Zarathustra

Creando un indice di povertà assoluta tra coloro che precari in aspettativa, tranelli finanziari e guai personali, hanno superato l’indice di povertà percepita. Il come ci si vede e si viene guardati nelle tortuosità delle sconfitte, rimandando una immagine fragile e indigeribile di sé stessi. Condannati a lavorare a ogni condizione tentando di salvare le apparenze evitando bilanci, si finisce in un frullatore, dove non si accetta di essere poveri, né si riesce a fingere di essere ricchi. Se sei laureato o senza diploma e hai superato i cinquanta, e magari bruciato un po’ di equilibri economici ed esistenziali, non è detto che la cultura punitiva in circolazione possa aiutare. Sei un disfunzionale, e non riesci ad accettarlo né, tanto meno, lo faranno gli altri. Così per non perdere almeno le briciole lasciate anche agli ultimi uomini, finirai sbucciando patate nel fast food, per poi ricominciare a guardarsi intorno dopo un licenziamento, una caduta o una malattia. Se mi sono empaticamente dilungato nel ruolo degli ultimi uomini, è perché sarà questa realtà che molti dovranno accettare in questo cambio epocale. Milioni di esseri si sentiranno dei falliti, stigma per adesso incancellabile, anche di chi ti ama. Forse, creandosi una massa nelle stesse condizioni, forse solo allora molti ricorderanno le mie strambellate narrative. Il nuovo feudo che si palesa nel neoliberismo in declino attua uno schiavismo ed è onnivoro e pretende il corpo dello schiavo a sua disposizione 24h, distruggendo la stessa idea di vita in nome del potere dato dal profitto. Ogni resistenza residua della propria identità sarà un ostacolo alla cancellazione dei superflui, che condannati al lavoro fino alla fine, sperando di poter accedere al banchetto degli avanzi dati dal surplus delle merci. Sempre da “1984”, “in un paradosso involontariamente spiritoso” dell’ideologia del Socing – che “dover scegliere un nostro personale modo di vita è un fardello intollerabile. Il tormento della libera scelta è il rumore delle catene della schiavitù”.

Mario Pluchino

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