Quella che stiamo per raccontare è la storia di un’ordinaria illusione che s’impadronisce di tutti i più incalliti giocatori che, come tutti quelli che non si sanno controllare, prima o poi perdono i soldi o la testa, o tutti e due, e ancora più spesso anche la dignità.
È nota la vicenda, ormai ventennale, di quel tale che negli anni Ottanta giocò una schedina al totocalcio, azzeccò il tredici, andò a riscuotere quello che allora era una vera fortuna e gli fu risposto che la vincita non poteva essergli pagata perché la schedina non sarebbe mai stata giocata. Si scoprì, infatti, che il giocatore aveva regolarmente giocato la schedina, che questa era effettivamente munita della metà del contrassegno di vidimazione, ma che l’altra metà, quella che doveva arrivare alla società del totocalcio, non ci arrivò mai, non ricordiamo se per colpa del titolare del bar o per motivi indipendenti dalla sua volontà.Il giocatore aveva dunque regolarmente giocato, ma la vincita non è mai stata pagata e a nulla sono valsi ricorsi, processi e contro processi.
Oggi, a distanza di più di vent’anni, quel giocatore è rimasto senza famiglia – distrutta dalle parcelle dell’avvocato e dal suo chiodo fisso della vincita non pagata – e senza soldi, vecchio e malandato ma irriducibile nel rivendicare anche gli interessi di un gruzzolo inesistente.
Abbiamo ricordato questa storia per inquadrare meglio quella di Thomas Pedretti, 37 anni, veneziano di San Donà del Piave, moglie e quattro figli a carico, operaio metalmeccanico con un posto sicuro.
Ebbene, il nostro signor Pedretti era un tipo tranquillo che viveva magari senza poter strafare, ma tutto sommato senza grossi problemi. Aveva – e non sappiamo se ce l’ha ancora ma presumiamo che non abbia perso l’abitudine – solo un vizietto, chiamiamolo così, innocente e innocuo, quello di giocare al superenalotto un sistemino da 14 numeri, sette euro in tutto, una cifra che non manda in malora nessuno.
Il sistemino era di sua invenzione, elaborato con date di nascita e avvenimenti familiari. Insomma, niente di straordinario, sono cose che fanno tutti, un po’ per gioco e un po’ perché si vuol credere alla sorte e ai suoi misteriosi sentieri, così, tanto per ridere e anche per sperare che prima o poi la dea bendata si ricordi anche di noi.
Bene, nel novembre del 2008, in uno dei giorni di estrazione, Thomas Pedretti, finito di lavorare, passa dal tabaccaio suo conoscente e lancia buoni auspici nel locale, consegnando i numeri all’uomo dietro al bancone abituato a sentirne di tutti i colori. Gli dà i numeri e i sette euro della giocata.
Quel giorno Thomas Pedretti era particolarmente allegro, forse sentiva che qualcosa stava per accadere, ma il computer non prende la giocata, s’inceppa, non c’è linea, per cui il tabaccaio gli vuole restituire i soldi e la scheda con i numeri. Thomas, però, aveva sempre giocato lì e lì voleva continuare a farlo. Capita che i vizi, piccoli o grandi, rischiosi o innocenti che siano, si alimentino dell’abitudine. È come quando uno va sempre in un locale perché là si trova a suo agio, se cambia locale è come se qualcosa lo disturbasse. Che volete? Si ha bisogno anche di queste piccole manie che sono, psicologicamente parlando, degli elementi di sicurezza, anche se poi, ritornando al gioco, non si vince mai. Per farla breve, Thomas Pedretti lasciò i sette euro al tabaccaio e gli disse di giocare quando sarebbe tornata la linea.
Il tabaccaio provò e riprovò, ma la linea non tornava. Provò talmente tante volte che fu costretto a mandare via tutti gli altri avventori che volevano giocare. Poi, alle sette e mezzo passate, il computer, come si sa, non prende più le giocate, per cui telefonò al Pedretti per dirgli che il sistema non era ripartito e che poteva andare a ritirare i sette euro della giocata mancata.
Non sappiamo cosa disse il giocatore, possiamo immaginare la sua faccia quando vide che i numeri estratti – 3-4-7-44-52 e 89 – erano proprio i suoi numeri, proprio quelli che non era riuscito a giocare. Giocava sempre gli stessi numeri, il Pedretti, non voleva rincorrere la fortuna, voleva che fosse lei a bussare alla sua porta mentre lui stava lì ad attendere… così fu ma la fortuna era venuta all’appuntamento sbagliato. Avrebbe vinto 37 milioni di euro e invece il nostro Thomas si ritrovò soltanto con i numeri estratti scritti però non su carta del superenalotto ma su un semplice e insignificante pezzo di carta.
Ora, a distanza di un anno e mezzo, Thomas Pedretti è sempre lì a scervellarsi per quella vincita mancata, nel frattempo ha perso il lavoro e anche la testa. Sì, perché adesso dà la colpa al tabaccaio che, di tutta evidenza, non c’entra. L’avvocato a cui Thomas si è rivolto gli ha fatto balenare l’idea che potrebbe mettere le mani su quei soldi denunciando il tabaccaio per “un contratto di mandato non rispettato”. Quel tale di cui abbiamo parlato all’inizio aveva effettivamente giocato con una matrice vera sulla schedina, Thomas, in realtà, non aveva mai giocato.
È vero che non aveva giocato non per colpa sua, ma certo al superenalotto la giocata non è mai pervenuta e il tabaccaio non poteva certo giocare se il computer non aveva la linea.
Morale della favola: Thomas Pedretti non accetta lo scherzo della sorte e si mette nelle mani di qualcuno che poi gli farà recapitare la parcella e quella sì, che dovrà pagarla, con il rischio di compromettere il rapporto di amicizia col tabaccaio e di perdere oltre ai soldi e alla testa anche, appunto, la dignità.
Perché lui, se voleva essere sicuro di giocare, avrebbe potuto andare da un’altra parte e non lo fece. Come si dice: chi ha colpa del suo mal, pianga se stesso.