Pace in Medio Oriente e Ucraina i temi nella dichiarazione comune
Atteso da secoli, preparato da decenni, è durato meno di quattro ore e si è svolto nell’anonimo aeroporto José Martì dell’Havana, lo scorso venerdì, il “primo incontro della storia”, come recita il comunicato congiunto finale, tra un romano pontefice, Francesco, e un patriarca russo, Kirill.
“Finalmente. Siamo fratelli. Questo incontro avviene per volontà di Dio”, le parole captate dai microfoni che Francesco ha rivolto a Kirill dopo averlo abbracciato. “Finalmente”, ha ripetuto il leader ortodosso, che si è rallegrato del fatto che sebbene le difficoltà tra cattolici e ortodossi non siano tutte risolte ci sia oggi la possibilità di incontrarsi. Dopo due ore di colloquio a porte chiuse, affiancati dal cardinale responsabile dei rapporti ecumenici Kurt Koch, il Papa, e dal “ministro degli Esteri” del patriarcato russo, Hilarion, il Pontefice e il Patriarca hanno firmato una dichiarazione congiunta.
In trenta paragrafi diramati in italiano, russo ed altre lingue, il Papa di Roma e il capo della più popolosa comunità ortodossa del mondo, il documento finale sottolinea che l’incontro è avvenuto a Cuba, “all’incrocio tra Nord e Sud, tra Est e Ovest”, nell’isola “simbolo delle speranze del “Nuovo Mondo” e degli eventi drammatici della storia del XX secolo”, da cui Francesco e Kirill hanno rivolto la loro parola “a tutti i popoli dell’America Latina e degli altri Continenti”, sottolineando che qui, “lontano dalle antiche contese del “Vecchio Mondo””, “la fede cristiana stia crescendo qui in modo dinamico”.
Ortodossi e cattolici, si legge, “devono imparare a dare una concorde testimonianza alla verità in ambiti in cui questo è possibile e necessario”. Molti i temi toccati, a partire dalla persecuzione dei cristiani e di altre minoranze in Medio Oriente (“Chiediamo alla comunità internazionale di agire urgentemente per prevenire l’ulteriore espulsione dei cristiani dal Medio Oriente” e per “porre fine alla violenza e al terrorismo e, nello stesso tempo, a contribuire attraverso il dialogo ad un rapido ristabilimento della pace civile”), e dalla situazione in Ucraina (“Deploriamo lo scontro in Ucraina che ha già causato molte vittime, innumerevoli ferite ad abitanti pacifici e gettato la società in una grave crisi economica ed umanitaria. Invitiamo tutte le parti del conflitto alla prudenza, alla solidarietà sociale e all’azione per costruire la pace”).
Si citano i paesi che si sono liberati dalle “catene” del comunismo, si sottolinea il valore della famiglia fondata sul matrimonio tra uomo e donna, il valore della vita messo in pericolo da aborto, procreazione medicalmente assistita, eutanasia. Si mette in luce che “pur rimanendo aperti al contributo di altre religioni alla nostra civiltà, siamo convinti che l’Europa debba restare fedele alle sue radici cristiane”. Si afferma: “Non possiamo rimanere indifferenti alla sorte di milioni di migranti e di rifugiati che bussano alla porta dei paesi ricchi. Il consumo sfrenato, come si vede in alcuni paesi più sviluppati, sta esaurendo gradualmente le risorse del nostro pianeta. La crescente disuguaglianza nella distribuzione dei beni terreni aumenta il sentimento d’ingiustizia nei confronti del sistema di relazioni internazionali che si è stabilito”.
Un documento più politico e programmatico che teologico, sebbene non manchino diverse sottolineature ecclesiologiche, come la constatazione che ortodossi e cattolici hanno in comune il primo millennio e i fondamenti della fede cristiana. Quanto al nodo dell'”uniatismo”, fedeli greci cattolici ucraini fedeli a Roma, la sua declinazione del passato, “inteso come unione di una comunità all’altra, staccandola dalla sua Chiesa, non è un modo che permette di ristabilire l’unità. Tuttavia – si sottolinea – le comunità ecclesiali apparse in queste circostanze storiche hanno il diritto di esistere e di intraprendere tutto ciò che è necessario per soddisfare le esigenze spirituali dei loro fedeli, cercando nello stesso tempo di vivere in pace con i loro vicini”.
Askanews