La superstizione è un convincimento irrazionale del pensiero che influisce sulla condotta di vita delle persone che la praticano. Generalmente si manifesta quando si crede che gli avvenimenti futuri siano determinati da cause accidentali. Il termine fu usato da Cicerone ne De natura deorum per significare la devozione patologica di chi trascorre il tempo rivolgendo preghiere e voti alle divinità affinché conservino i figli sani e salvi, assumendo quindi un atteggiamento pavido verso il soprannaturale con la speranza di salvarsi da sciagure e malanni.
Le teorie e le credenze non condivise oppure desuete o considerate palesamente inaccettabili sono censurate come superstizioni da diverse dottrine e religioni.
Nonostante la condanna implicita della cultura la superstizione è molto diffusa nella società occidentale e addirittura favorita dai mezzi di comunicazione di massa, come per esempio, l’astrologia, l’oroscopo e diverse pratiche divinatorie.
La superstizione è molto propagata anche nel gioco d’azzardo, in particolare in quelli basati esclusivamente sul caso, dalle roulette alle lotterie. « La cultura dei media ( e non solo) non contrasta la superstizione, anzi, spesso la coltiva. Si può citare, per esempio, il caso dei numeri ritardatari nel gioco del lotto, che vengono ampiamente segnalati dai media con l’implicita (talvolta esplicita) indicazione che siano i numeri con maggiori probabilità di essere estratti, il che va apertamente contro le leggi del calcolo delle probabilità e la semplice logica (significherebbe riconoscere che i bussolotti conserverebbero memoria delle estrazioni pregresse). In casi del genere, tali credenze vengono rivestite di credibilità attraverso il riferimento improprio a leggi matematiche e scientifiche, come la legge dei grandi numeri» (da Wikipedia). Dal Grande Dizionario della Lingua Italiana del Battaglia (UTET), citiamo:
«Superstizione: fede timorosa nella potenza attribuita a oggetti, gesti, invocazioni, persone, di produrre effetti superiori alle loro causalità naturali, che si vale di incantesimi, scongiuri, amuleti come mezzi di protezione contro forze malefiche o come tramiti per determinare il verificarsi di eventi desiderati; è forma di cultura del soprannaturale di origine popolare, ma diffusa in ogni ambiente sociale per la forte carica antitetica che la oppone alle forme di religiosità (per lo più ufficiali e dominanti) che attribuiscono una sfera separata al trascendente e in forza della pretesa di possedere attraverso il mondo naturale le forze soprannaturali e di servirsene per gli scopi pratici della vita».
Secondo Umberto Galimberti, nel “Dizionario di Psicologia”, si tratta di «una credenza o insieme di credenze prive di un fondamento razionale, ma incondizionatamente accolte e, quando hanno un risvolto pratico, scrupolosamente eseguite per il valore protettivo che il soggetto vi attribuisce». Il superstizioso è di solito un individuo debole, insicuro, privo di studi scientifici, di una buona letteratura, di una discreta cultura. Bisognoso di protezione, se si innamora di una donna è perché vede in lei la figura di madre difensiva, cautelare. Non è il ragionamento, l’analisi critica dei fatti, che lo dispone di fronte alla realtà, ma l’affidarsi ai talismani, ai portafortuna, ai feticci; è capace di aspettare un’ora prima di attraversare la strada se non sparisce un minaccioso gatto nero fermo sul marciapiede o sulla striscia pedonale. Il grande filosofo Voltaire sosteneva che “essere superstiziosi è da ignoranti, ma non esserlo porta male».
Niels Bohr, fisico danese Premio Nobel nel 1923, possedeva una casa di campagna dove si recava per riposarsi. Su una porta di questa casa aveva appeso un ferro di cavallo. Un giorno un amico gli chiese se per caso credesse davvero alla storia dei ferri di cavallo che portano fortuna. «Naturalmente no – rispose Bohr, -ma mi hanno detto che portano fortuna anche a chi non ci crede».
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