Nel 2015 nella Confederazione 10mila richieste di asilo di eritrei
“L’Eritrea non è la Corea del Nord dell’Africa”. È quanto hanno dichiarato due dei cinque politici svizzeri rientrati la scorsa settimana da una visita non ufficiale nel Paese del Corno d’Africa, nata dalla volontà di “conoscere il Paese” da dove, solo nel 2015, sono arrivati in Svizzera quasi 10’000 richiedenti asilo. Un appello al dialogo che propone un nuovo approccio al Paese del Corno d’Africa, considerato – in Svizzera come in tanti altri Paesi – una fucina di profughi innanzitutto a causa di un regime gestito con il pugno duro dal presidente Isaias Afewerki.
“Sono andato in Eritrea perché l’anno scorso, su 40’000 richieste di asilo in Svizzera, 10’000 sono state presentate da eritrei. Numero simile a quello registrato l’anno precedente, a seguito di un incremento, se si pensa che nel 2000 erano quasi pari a zero. Il motivo del viaggio era quindi conoscere il Paese da cui arrivano queste persone, le condizioni in cui vivono in Eritrea e naturalmente capire di più riguardo al regime politico”, ha detto ad askanews il consigliere nazionale Thomas Aeschi, dell’UDC.
L’Eritrea è guidata dal presidente Isaias Afewerki dal 1993, anno del referendum che sancì l’indipendenza del Paese dopo 30 anni di lotta di liberazione contro l’Etiopia. Una nuova Costituzione venne approvata nel 1997, ma venne subito sospesa a causa della guerra del 1998-2000 con l’Etiopia, scoppiata per una questione di confini, ma arrivata al culmine di una contesa nata dalla decisione di Asmara, sempre nel 1997, di sganciarsi della moneta etiope e adottare la nafka. Tecnicamente il conflitto non è mai stato concluso, a causa del rifiuto di Addis Abeba di accettare la decisione della Commissione Onu sulla demarcazione dei confini. Il governo di Asmara giustifica proprio con questa situazione di “nè guerra nè pace” con Addis Abeba un servizio militare che, per legge, dovrebbe durare 18 mesi e che invece viene prestato a tempo indeterminato per una paga insufficiente a sostenere il costo della vita. Una leva che viene indicata dall’Onu come il principale motivo di fuga dei giovani eritrei e che le organizzazioni per i diritti umani equiparano a trattamento degradante o lavoro forzato.
“Non credo che l’Eritrea sia la Corea del Nord dell’Africa, perché non ho visto un sistema di controllo diffuso, con funzionari governativi sempre al fianco – ha detto Aeschi – ci si può muovere liberamente, parlare con le persone. Ovviamente le persone sono attente a quello che dicono ma non si percepisce paura. Questo non vuol dire che la situazione è buona, sono sicuro che ci sono violazioni, ma non ho potuto valutare la situazione dei diritti umani, perché non era lo scopo del viaggio”.
“Che l’Eritrea sia la Corea del Nord africana è una bugia occidentale a cui io stessa ho dato credito – ha affermato anche Susanne Hochuli (Verdi), consigliere di Stato del cantone Argovia – siamo sinceri, perché a questo concetto leghiamo uno Stato che controlla tutto e tutti, mentre noi abbiamo potuto muoverci liberamente, abbiamo parlato con tutti, abbiamo conosciuto diverse persone e abbiamo chiesto tutto quello che volevamo. Abbiamo ascoltato critiche aperte al servizio militare, viene chiesta maggiore indipendenza per i media. Poi certo non tutti hanno voluto parlare con noi e quando abbiamo chiesto di prigioni e detenuti, alcuni ci hanno risposto ‘qui anche le pareti hanno le orecchie'”.
Anche negli incontri politici avuti con il consigliere del Presidente, con il ministro degli Esteri e quello della Sanità, Hochuli ha rivolto domande sulle condizioni dei diritti umani e sui detenuti e “non ho ricevuto risposte chiare”, ha detto ad askanews via email: “La loro posizione è che in Eritrea non ci sono né più né meno violazioni che in altri Paesi”. Hochuli ha rivelato che dai colloqui politici avuti ad Asmara è emerso anche che “non hanno tutti la stessa idea su tutto” e che la classe dirigente è composta da “ex combattenti per la libertà, rimasti combattenti, cosa da tenere presente” se si vuole rilanciare “un dialogo politico diretto con l’Eritrea”. Obiettivo espresso nella lettera inviata al ministro della Giustizia e responsabile per l’Immigrazione, Simonetta Sommaruga, in cui “abbiamo chiesto un incontro per discutere quello che abbiamo visto in Eritrea, con l’auspicio anche di inviare una delegazione ufficiale di alto livello, come fatto da altri Paesi europei, quali Regno Unito, Norvegia e Danimarca, per valutare la situazione dei diritti umani”, ha riferito Aeschi.
Nelle dichiarazioni alla stampa nazionale, anche gli esponenti politici svizzeri hanno auspicato l’avvio di un programma di aiuti allo sviluppo per “un Paese molto povero”, ha rimarcato Aeschi, ricordando che “il governo di Asmara ha cercato di migliorare la situazione negli ultimi due anni, anche per quanti sono sotto servizio militare, ma è davvero un Paese povero”. Proprio a fronte di tale povertà, da parte sua Hochuli si è detta stupita dai risultati raggiunti dal governo sul fronte sanitario, con tassi di mortalità materna e infantile “sorprendentemente bassi” e un’incidenza dell’Aids pari allo 0,9%, ma anche dalla qualità dei testi scolastici, raccontando di aver visitato molte strutture sanitarie e diverse scuole.
“La cosa che mi ha più colpito in Eritrea – ha detto Hochuli ad askanews – è stata la visita all’ospedale psichiatrico Saint Mary perché mi ha dimostrato che si può avere una panoramica anche su situazioni e temi del Paese veramente difficili in un rapporto di fiducia reciproca”.
Askanews