Sovrappeso e troppo poca frutta e verdura
Quasi una persona su due in Svizzera è in sovrappeso: è questo il risultato di menuCH, un sondaggio nazionale sulle abitudini degli svizzeri in fatto di alimentazione e attività fisica. Lo studio rivela inoltre che le raccomandazioni ufficiali sul consumo di frutta e verdura non godono di grande risonanza tra il pubblico. Per il sondaggio sono stati intervistati circa 2’000 adulti in tutta la Svizzera. Per quanto riguarda il peso corporeo, le analisi dell’indice di massa corporea (IMC) rivelano che il 54% degli interessati ha un peso corporeo normale. Il 44% è invece in sovrappeso. La percentuale di uomini sovrappeso è più che doppia rispetto a quella delle donne.
Solo circa il 2% della popolazione è invece sottopeso, con una percentuale di donne in questo caso tripla rispetto agli uomini. A livello nazionale, la situazione è piuttosto omogenea; non si evidenziano differenze degne di nota tra le regioni linguistiche.
«5 al giorno» è un’eccezione
Anche per quanto riguarda il consumo di frutta e verdura, i risultati sono simili per le singole regioni. Circa l’87% degli intervistati di età compresa fra i 18 e i 75 anni consuma una o più porzioni di frutta e verdura al giorno. Più di un quarto della popolazione in Svizzera mangia 3–4 porzioni al giorno. Tuttavia soltanto il 13% degli intervistati segue il consiglio nutrizionale «5 al giorno» consumando quotidianamente 5 o più porzioni di frutta e verdura.
Fra la popolazione che mangia troppo poca frutta e verdura esistono invece delle differenze regionali: il 22% della popolazione italofona consuma meno di una porzione al giorno. Nella Svizzera tedesca, questa percentuale scende al 13% e nella Svizzera romanda al 12%.
Sulla tavola italiana si allarga il ‘food social gap’
Meno carne ma anche poco pesce, frutta e verdura, soprattutto per le famiglie meno abbienti. L’Italia a tavola torna alle divisioni economiche del passato, secondo la ricerca del Censis presentata a Roma e pubblicata dall’Adnkronos. Nell’ultimo anno – indicano i dati – hanno ridotto il consumo di carne il 45,8% delle famiglie a basso reddito contro il 32% di quelle benestanti. Di carne bovina, il 52% delle prime e il 37,3% delle seconde. Per il pesce, il 35,8% delle meno abbienti e il 12,6% delle più ricche.
Per la verdura, riducono il consumo il 15,9% delle famiglie a basso reddito e il 4,4% delle più abbienti. Per la frutta, il 16,3% delle meno abbienti e solo il 2,6% delle più ricche. Se nell’Italia del ceto medio vinceva la dieta equilibrata dal punto di vista nutrizionale disponibile per tutti, in quella delle disuguaglianze il buon cibo lo acquista solo chi può permetterselo. Nel periodo 2007-2015 la spesa alimentare delle famiglie italiane è diminuita in media del 12,2% in termini reali. Ma nelle famiglie operaie è crollata del 19,4% e in quelle con a capo un disoccupato del 28,9%.
È il cosiddetto ‘food social gap’: nella crisi il divario nella spesa per il cibo dei più ricchi e dei meno abbienti si è ampliato. Meno si poteva spendere per scegliere il buon cibo, si è dovuta tagliare la spesa. Le differenze a tavola diventano distanze e ormai fratture: si mangia quel che ci si può permettere, e il dibattito ideologico sul valore nutritivo degli alimenti è fuorviante.
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Dati: USAV/Adnkronos