Alla fine di marzo si è presentato spontaneamente alla procura di Roma Marco Fassoni Accetti, 57 anni, regista e fotografo, che ha fatto la seguente confessione: “Io ho rapito Emanuela Orlandi, la ragazza sparita da Roma trent’anni fa
“Emanuela Orlandi è morta, ma il caso della sua scomparsa potrebbe risolversi. Finora ci sono state molte false piste e molti depistaggi”: a parlare è il procuratore aggiunto di Roma, Giancarlo Capaldo, che, alla vigilia del trentennale dalla scomparsa della ragazza, ha rivelato che il giallo potrebbe essere vicino ad una soluzione. Quali sono gli elementi che fanno pensare ad una “soluzione vicina”?
Alla fine di marzo si è presentato spontaneamente alla procura di Roma Marco Fassoni Accetti, 57 anni, regista e fotografo, che ha fatto la seguente confessione: “Io ho rapito Emanuela Orlandi, la ragazza sparita da Roma trent’anni fa. Per anni nessuno ha voluto credermi, eppure era così evidente: io e il mio gruppo di agenti segreti abbiamo lasciato tracce e indizi di ogni genere. L’ultima volta che l’ho vista, nel 1984, Emanuela stava bene ed era viva. Non so che fine abbia fatto. Ma, se è stata uccisa, è stato commesso un grave errore. E io sono pronto ad assumermene la responsabilità morale. Sono stato io a fare in modo che si allontanasse da casa. Il suo destino è legato al mio”.
Dalla fine di marzo, Marco Fassoni Accetti è stato interrogato undici volte ed ha raccontato di trame internazionali che coinvolgono il Papa, Alì Agca, lo Ior e il suo capo, il cardinal Marcinkus. Marco Fassoni Accetti ha confessato di essere lui “l’Amerikano”, l’uomo misterioso che telefonò 16 volte per ricattare il Vaticano, chiedendo in cambio di Emanuela la liberazione di Alì Agca. Per mantenere il contatto con l’Amerikano fu installata una linea telefonica diretta con il Segretario di Stato di allora, monsignor Agostino Casaroli.
Marco Fassoni Accetti, attualmente indagato per sequestro di persona aggravato dalla morte dell’ostaggio, ha detto di aver fatto parte di un “nucleo di controspionaggio” composto da “laici che lavoravano per conto di alcuni ecclesiastici con il supporto dei fiancheggiatori dei servizi segreti dell’Est”. Questo gruppo, secondo Accetti, dagli anni Settanta a tutti gli anni Ottanta avrebbe svolto “azioni di pressione e di ricatto” per “influenzare le scelte dell’allora Consiglio per gli affari pubblici della Chiesa (organismo collegiale in seno al Vaticano), ma anche per contrastare l’allora capo dello Ior, monsignor Marcinkus, per interferire sulla riforma del codice del diritto canonico discussa in quel periodo e per condizionare alcune nomine”.
Aggiunge Marco Fassoni Accetti: “Io Emanuela l’ho presa e basta. Ma certo, non escludo che possa essere stata uccisa. Molti mi dicono di fare i nomi dei miei complici. Ma io non sono una spia. A loro ho dato la mia parola e la mantengo”. Si tratta di dichiarazioni molto importanti, anche se gl’inquirenti non escludono che qualche affermazione possa essere un depistaggio. Secondo Accetti, il rapimento di Emanuela Orlandi doveva essere di carattere dimostrativo – per indurre Alì Agca a ritrattare le sue accuse di complicità dei bulgari nell’attentato al papa il 13 maggio del 1981 – ma poi l’intervento pubblico del Papa il 3 luglio del 1983 fece attirare sul caso una tale attenzione mediatica che si trasformò in uno dei gialli più intricati e torbidi del dopoguerra.
La vicenda di Emanuela Orlandi è legata anche alla morte di un ragazzo di 12 anni, Josè Garramon, figlio di un diplomatico, rapito sotto casa e ritrovato nella strada di Castel Porziano, in una pineta di Ostia. Ad essere accusato di averlo investito fu proprio Marco Fassoni Accetti, il quale ha sempre sostenuto che fu una disgrazia, ma che poi la morte di quel ragazzino fu sfruttata per mandare un messaggio ad Alì Agca, per dirgli: se non ritratti sul coinvolgimento dei bulgari nell’attentato al Papa, la stessa cosa succederà a tua sorella Fatima.
L’ultima confessione di Accetti, questa volta al fratello di Emanuela, Pietro Orlandi, riguarda il legame tra il ragazzo Josè Garramon ed Emanuela: “In quella pineta, dove quel piccolo è stato trovato ucciso, quella sera c’era anche mia sorella. La tenevano in un camper”. “Accetti”, dice Pietro Orlando, “deve assolutamente rivelare i nomi dei complici, non si può limitare a dire che non è una spia. Non si gioca con il dolore dei familiari”.