Come era nell’aria e come era stato anticipato, il ministro dell’Economia Giulio Tremonti ha presentato la manovra correttiva per gli anni 2011 e 2012, con alcuni effetti anche dal 2010, per un totale di 24,9 miliardi, divisi a metà nei due anni in questione.Il provvedimento è stato giudicato, nel rispetto delle tradizioni e dei diversi punti di vista, come “storico” dalla maggioranza o come “iniquo” da parte delle opposizioni; una cosa però è certa, ed è che la manovra è stata approvata dall’Europa e che i vari organismi internazionali ne hanno dato un giudizio positivo. Si potrà discutere su questo o quel punto – ed in effetti ce ne sono che convincono poco – ma ci sono almeno due aspetti che sono un novità positiva.
In primo luogo ci sono i tagli alla spesa pubblica, in secondo luogo ci sono delle misure, valutate come “serie” anche dagli oppositori, contro l’evasione fiscale.
Cominciamo da quest’ultimo punto, che comprende l’obbligo della tracciabilità dei pagamenti oltre i 5 mila euro (tramite assegni o bonifici bancari o carte di credito), l’obbligo delle fatture telematiche per commercianti e grossisti oltre i 3 mila euro – attraverso cui l’Agenzia delle Entrate può controllare direttamente sul computer i pagamenti per il personale e le spese per gli acquisti di beni – e il nuovo redditometro, impostato secondo il criterio territoriale e secondo nuovi parametri di rilevamento del reddito per le categorie di autonomi e professionisti.
Ecco quello che scrive Aldo Rizzo sul Corriere, di solito un giornalista critico sui provvedimenti del governo: “La tanto contestata tracciabilità, unita ad altri due meccanismi come il nuovo redditometro e la fattura telematica, potrebbe davvero rappresentare, se non altro sulla carta, un deterrente micidiale per l’evasione”.
La tracciabilità, in realtà, fu introdotta nel 2006 dal governo Prodi, subito abolita dal governo Berlusconi nel 2008, non perché non fosse uno strumento valido contro l’evasione, ma perché di difficile applicazione in quanto anche per pagare una somma di 100 euro bisognava utilizzare la carta di credito o un assegno o bonifico, tutte cose che ancora tantissime persone, specie se anziane (quelle per intenderci che ancora vanno di persona alla posta a riscuotere la pensione perché non hanno un conto e non vogliono averlo) non possono e non sanno fare.
L’aspetto recupero entrate dall’evasione fiscale rappresenta un terzo di tutta la manovra, gli altri due terzi sono determinati dal taglio della spesa pubblica, che vuol dire cura di dimagrimento per Regioni e Comuni, congelamento degli aumenti agli statali, diminuzione del 10% sugli stipendi dei parlamentari, prelievi del 20% sugli stipendi di manager pubblici, magistrati e alti funzionari dello Stato, decurtazione del 5% delle pensioni tra 90 mila e 130 mila euro e del 10% oltre i 130 mila euro l’anno, diminuzione del 20% del rimborso elettorale ai partiti, soppressione di un certo numero di “enti inutili”.
Le misure sono tantissime e vanno ad incidere su questo o quel settore, su questo o quell’ente, su questa o quella categoria, ma queste sono quelle di impatto immediato.
Abbiamo detto che maggioranza e opposizioni danno giudizi diversi. Ognuno, dal suo punto di vista, ha ragione. Hanno ragione la Cgil e il Pd quando dicono che a pagare sono i lavoratori, ma è pur vero che 3 milioni e 800 mila impiegati nel settore pubblico sono un enorme esercito dove si annidano persone che non vanno al lavoro e prendono lo stipendio, persone che timbrano e vanno via, persone che escono a fare la spesa o ad accompagnare i figli a scuola, persone che fanno due lavori contemporaneamente e cose di questo genere.
Senza contare coloro che sono assunti per motivi clientelari e che fanno poco o nulla, tanto il posto è garantito. Ebbene, in genere i governi dicono di voler tagliare sulla spesa pubblica ma non lo fanno per non scontentare nessuno e intanto i conti non tornano.
La stessa cosa avviene a proposito degli enti inutili: a parole tutti dicono che andrebbero eliminati, poi comincia il valzer degli impiegati che di solito sono lì a scaldare la sedia e che quando questa comincia ad essere calda iniziano a lamentarsi che vengono “tagliati i servizi”, che naturalmente sono “essenziali” e “importantissimi”, anche se non è vero.
Per farla breve, spesso la spesa pubblica è sinonimo di sprechi e di inefficienza, negli uffici pubblici come negli ospedali e nelle aziende parastatali. Se le Regioni o i Comuni avranno di meno, significa che dovranno vigilare e utilizzare meglio le risorse a disposizione.
Certo, ci sono misure dubbie, come la tassa di 10 euro ai turisti prelevata negli hotel, il valzer dell’eliminazione o meno delle province piccole ed altre misure secondarie, ma il succo è che se gli interessati si lamentano (impiegati dello Stato, magistrati, manager, dipendenti di enti inutili o simili), ebbene, lo Stato non può continuare a pagare alla cieca, senza controlli e senza produttività.
Non possiamo fare la fine della Grecia, dove gli impiegati pubblici erano inamovibili, prendevano bonus di “puntualità” nell’andare al lavoro (quindi andarci in ritardo era la norma), bonus per l’uso del computer, eccetera. Non per nulla, il 70% degli italiani (sondaggio Mannheimer) approva la manovra come “necessaria”.
La manovra non è stata fatta perché la crisi è stata occultata negli ultimi due anni. La crisi, è stato detto, c’era ma l’Italia non era messa male come altri Paesi, ed è vero, tuttavia la speculazione internazionale sull’euro ha obbligato Tremonti ad adottare misure che mettano al riparo l’Italia dagli attacchi degli speculatori e diano una svolta nel rapporto spesa-entrate-qualità dei servizi.
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