Manovra lacrime e sangue per per uscire dalla crisi
Estate da infarto per le borse e le economie del mondo, prese d’assalto dalla cosiddetta speculazione internazionale che si è incuneata nelle maglie larghe delle debolezze nazionali. La debolezza italiana si chiama debito pubblico, che dal 1970 non ha fatto altro che aumentare, fino ad attestarsi, negli ultimi vent’anni, attorno al 120%. L’Italia, cioè, ha un debito pubblico di oltre 1900 miliardi di euro e quando si hanno i debiti vuol dire che si spende troppo e si incassa troppo poco rispetto alle uscite e vuol dire anche che si ha difficoltà a crescere e quando non si cresce si è destinati ad andare in affanno. Il debito ce lo trasciniamo da 40 anni, quando i governi che si sono succeduti, su pressione dei sindacati che chiedevano vincoli e assistenza, per tenerli buoni hanno concesso pensioni a destra e a sinistra, anche dopo 15 anni di lavoro, eccessiva protezione nell’ambito pubblico e privato con la illicenziabilità di fatto anche di chi rubava o usciva a fare la spesa o addirittura al lavoro non ci andava proprio, o presentava certificati medici fasulli e roba di questo genere. Risultato: spesa pubblica crescente con conseguente scarsa produttività, cui nel corso degli anni si sono aggiunti altri pesi, come il non rispetto delle regole, la mancanza di controllo, i prezzi alti dei lavori pubblici in seguito a pratiche di ruberie e sperperi.
Il governo, dopo l’esplosione della crisi economica e della bancarotta della Grecia, ha seguito la linea Tremonti, cioè il rigore dei conti con i famosi tagli lineari alla spesa pubblica, che hanno suscitato critiche sia dalle opposizioni che da settori della maggioranza stessa, tagli che avrebbero dovuto essere maggiori e non lo sono stati. Al rigore dei conti, comunque, non è seguita una vera e propria politica della crescita, per cui, come detto, il debito pubblico è diventato una palla al piede e l’oggetto degli attacchi della speculazione internazionale. Quando questi attacchi sono stati più mirati, il governo è corso ai ripari – metà luglio – con una manovra triennale di 47 miliardi di euro spalmati nel 2012-13 e 14, con maggiore stretta nel 2013 e 2014, anno in cui è stato fissato il pareggio di bilancio. Sono state adottate misure di contenimento con tagli minimi alla spesa pubblica e ai costi della politica, rinviati alla prossima legislatura previo studio comparato a livello europeo, e con prelievi del 5% sui redditi oltre 90 mila euro e aumenti sui ticket sanitari per visite specialistiche. È vero che c’erano una serie di riforme – le liberalizzazioni, l’abbattimento dei vincoli per iniziare un’attività produttiva, la diminuzione dei parlamentari – ma queste riforme, specie quelle costituzionali presupponevano tempo. Il vero fatto positivo della manovra era la frustata all’economia con l’avvio immeditato di una serie di grandi opere, con lo sblocco da parte del Cipe di circa 7 miliardi di euro. Come si ricorderà, il presidente della Repubblica, sotto l’incalzare della speculazione internazionale, aveva invitato maggioranza e opposizione ad accelerare i tempi di approvazione, tanto è vero che la manovra fu approvata sia alla Camera che al Senato nel giro di 4-5 giorni: un record.
La speculazione, però, tornò subito all’attacco e fu evidente che c’era urgente bisogno di una nuova manovra che anticipasse il pareggio di bilancio al 2013 e che desse un vero segnale di stabilità e di solidità ai mercati internazionali. Di qui il discorso del presidente del Consiglio al Parlamento con le nuove misure in cantiere da approvare dapprima entro il 18 agosto, poi approvate il 12, l’audizione di Tremonti e l’approvazione da parte del Consiglio dei ministri del nuovo decreto da 45,5 miliardi, che anticipa, come detto, al 2013 il pareggio di bilancio e dà una svolta alla politica economica in Italia. Quali sono i punti essenziali della nuova manovra, approvata prontamente e convintamente dall’Europa che l’aveva sollecitata? Per la prima volta ci sono stati tagli alla politica con l’abolizione delle province con meno di 300 mila abitanti, con la soppressione di 54 mila poltrone, con circa 8,5 miliardi in meno ai ministeri (in due anni) e con riduzione dei trasferimenti agli enti locali per circa 9,5 miliardi (due anni). Inoltre: dimezzamento del numero dei parlamentari (per legge costituzionale); eliminazione di alcune auto blu e sconti aerei solo nella economy class; accorpamento dei Comuni con meno di mille abitanti; dimezzamento dell’indennità parlamentare per chi svolge un altro lavoro; contributo di solidarietà a personale pubblico e privato e ai lavoratori autonomi del 5% per la parte eccedente i 90 mila euro lordi e del 10 per la parte eccedente i 150 mila euro (per i parlamentari il doppio: 10 e 20); aumento dal 12,5 al 20% del prelievo sulle rendite finanziarie (esclusi i titoli di Stato); diminuzione dell’aliquota dal 27 al 20% sui depositi bancari. Novità anche nel pubblico impiego, con l’eliminazione dei vincoli al trasferimento del personale e i nuovi contratti aziendali che prevedono la deroga all’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, quindi l’introduzione del licenziamento mediante compenso. Dai tagli verranno esclusi settori come la scuola, la sanità, la ricerca e la cultura. Di fatto, sulle pensioni, ci sono solo aggiustamenti.
Berlusconi voleva abolire le tasse e invece le sta aumentando: lui stesso ha detto che la situazione internazionale è grave e che non si può fare altrimenti. Nella prima manovra di luglio – che, ricordiamolo, si somma alla seconda per un totale complessivo di ben 92,5 miliardi in tre anni, comprese le iniezioni seguite alle perdite di borsa – le critiche sono state ai pochi tagli, ora le critiche ci sono ai tanti tagli e ai balzelli che colpiscono la classe medio alta. È una manovra lacrime e sangue. La realtà è che in Italia non si poteva continuare a vivere al di sopra dei propri mezzi e che una svolta era necessaria, come ha riconosciuto Mario Montisul Corriere dopo le critiche alla prima manovra. Se questa manovra – aperta al contributo delle opposizioni – non vanificherà in sede di discussione parlamentare i numeri e i tagli, non solo l’Italia potrà salvarsi dalla crisi, ma potrà uscirne con una svolta di mentalità e di relazioni nuove nel sistema industriale e sociale, cosa che non può che essere positiva.