Troyes, Vesoul, Belfort, Mulhouse, Basilea, Zurigo: le città in cui, l’ Albaret, il treno ancora trainato da una possente motrice diesel, dalla Gare de l’Est parigina e sino a Basilea, la bella accarezzata dalle acque del reno – quasi uno scandalo, in una nazione, la Francia , sino a pochi anni fa ammaliata dal culto sacro dell’atomo – si arresta per ospitare a bordo una umanità stanca e sonnacchiosa ( si parte a Parigi verso le diciotto della sera per approdare alla città sulla Limmat verso le ventidue e quaranta ).
Talvolta, e in particolari momenti della vita politica dell’esagono (le elezioni presidenziali o fatti sociali di rilevante gravità ) , me ne andavo al ristorante per carpire umori e notizie di particolare interesse. Frequentato da parlamentari dell’ est, dai tratti e dal fare poco francesi e assai alzazio-renani, il ritorno del venerdì, trasformava il restò in un centro di formazione, informazione politica e apprendimento. Tra un bicchiere di Bordeaux ed una suppe a l’oignon, ascoltavo, talvolta ammirato, altre indignato e disgustato – tutto il mondo è paese – i pettegolezzi del palazzo(l’ Assemblée National) espressi con il linguaggio forbito e salace dell’argot e lo stile alemanno o florentin (Macchiavelli docet ) del presidente Francois Mitterrand.
IN altre occasioni cercavo il contatto con il popolo operaio in seconda classe.
Ascoltavo gli umori, le ansie, i timori di una umanità legata al culto del lavoro, ricca di ricordi e valori antichi: Le memorie legate ad una terra contesa, in cui i padri e i nonni vissero le tremende sciagure delle guerre fratricide, la famiglia, i figli a cui assicurare una vita meno impervia, l’amata con cui costruire il comune destino.
In fondo, a parte la lingua, niente di diverso di un pendolare- che dico- Milano- Bergamo e Brescia. D’estate, una occhiata dal finestrino e potevi ammirare la campagna della Francia profonda:
Le mandrie pasciute dal pascolo brado, gli ovini, i cavalli al galoppo della loro mai perduta libertà.
A Basilea la motrice eruttava, gemendo, un ultimo pestilente veleno.
Un poco di attesa e in una oretta ti appariva, come sempre affollata, la “Zurigo-banoffa” dei nostri emigrati.
D’ora in poi parlerò al presente perché quanto scrivo è ,ogni giorno, accecante ai miei occhi.
Sei,come ogni volta, curioso: Chissà? Siamo a dicembre.
Scendi dall’Albaret e il viso sbianca all’impatto con la gelida bise ammantata di brina. Alzi il bavero sino alla fronte e ti appresti all’uscita.
Non dimentico. Lei é là. Eternamente là. All’ entrata della Halle, del salone centrale luccicante di colori per l’imminente natale. Accanto alla fontanella, apparentemente assopita sulla sedia a rotelle. Il solito viso assente, spettrale, in cui leggi tutte le tristezze, le disperazioni, le miserie, gli abbandoni e le nostalgie della diaspora italiana, o forse, delle tante diaspore di questa umanità disperata.
Se osservi con attenzione i suoi occhi scopri la disperazione dell’anima sua e la ricerca senza fine, ammantata da gocce di paura e sudore, della sua patria lontana.
Non ti ho più rivista, ultimamente. E la fontanella più non zampilla. Appare muta e sola.
In un caso o nell’ altro, un pezzo del mio cuore sarà sempre con te per accompagnarti alla ricerca della tua perduta felicità