Abbiamo già avuto modo di parlare dei tentativi di dialogo tra rappresentanti del governo ed emissari dei talebani in Afghanistan, un tentativo che sulla stampa americana viene dato per certo, mentre non tutti hanno la stessa certezza, soprattutto i diplomatici e commentatori della regione.
I termini della questione sono i seguenti. Gli alleati non vedono una vittoria netta in Afghanistan, ma non la vedono nemmeno i talebani e i radicali. Quanto al governo, esso non riesce a disegnare un futuro vivibile in quel Paese. Se il quadro è a tinte fosche, non deve essere apparsa come una prospettiva peregrina il tentativo di riappacificazione nazionale per porre fine ad una guerra decennale preceduta da un altro lungo periodo di guerra (con i sovietici) che ha fiaccato gli animi. Intendiamoci, si sa bene che un talebano non avrà pace finché non avrà vendicato un parente ucciso, ma non è nemmeno possibile proiettare l’odio oltre un certo orizzonte.
Abbiamo già in altra occasione accennato allo “show” del presidente Karzai che in televisione si è messo a piangere paventando una prospettiva, per il suo Paese, talmente oscura da spingere suo figlio – e dunque anche i figli degli altri – a fuggire all’estero per avere un futuro. “Non voglio”, ha esclamato Karzai, “che mio figlio Mirwais diventi uno straniero”.
Dunque, le condizioni politiche, economiche e militari ci sono, perciò le notizie filtrate con molta circospezione non possono essere state inventate senza una ragione valida. Ci sono delegazioni che si sono riunite in segreto e che sondano la possibilità di far cessare la guerra. Abbiamo detto che risultati, per ora, non ce ne sono, ma che è una grossa notizia il fatto stesso che ci sono stati dei contatti. Si tratta di notizie che risalgono ad almeno tre settimane fa. Ora, ne stanno giungendo delle altre, che anch’esse confermano ciò che si è detto, senza però avere delle prove inconfutabili.
Si sa, ad esempio, che il generale Petraeus ha “facilitato” il viaggio a Kabul di alcuni comandanti talebani che si trovano in Pakistan. Il viaggio, sembra più che certo, era finalizzato all’incontro con emissari del governo. Anche il New York Times parla di “alti” comandanti talebani che dal Pakistan si sono diretti in Afghanistan con gli stessi obiettivi. In fondo, si tratta della stessa notizia ripetuta da fonti diverse, ma non è possibile che sia stata inventata di sana pianta. Si sa anche che tra questi “alti” comandanti talebani ci sono personaggi di spicco sia del gruppo che fa capo al mullah Omar che al “clan Haqqani”, tutti e due in passato con uno stretto legame con Al Qaeda.
Le notizie di questo tentativo si spingono fino a dire che il mullah Omar si sarebbe accontentato di un esilio dorato in Arabia Saudita in vista di una soluzione pacificatrice. Non solo. Ci sarebbe anche il consenso di Obama, che vede in questa soluzione di pace un modo per uscire da una guerra sempre più costosa per gli Usa, ma se la notizia sarà confermata, vorrà dire che gli americani stanno dando una mano al presidente Karzai che non ha mai nascosto negli ultimi tempi che questa è l’unica soluzione possibile al conflitto attuale.
Ci sono ancora due altri elementi a sostegno di questo percorso. Il primo è che questa svolta sarebbe opera della nuova generazione di talebani che si oppongono alla vecchia guardia che ha passato praticamente tutta la vita a fare guerre. Loro, i giovani – o quanto meno la generazione meno anziana – vogliono la pace, sono stanchi di fare la guerra ed hanno messo da parte i talebani veterani. Il secondo è che, a dimostrazione che qualcosa di vero in tutto questo c’è, gli emissari dei talebani avrebbero ricevuto un mandato: quello di trattare rinunciando a quella che è sempre stata una condizione irrinunciabile, cioè niente dialogo prima del ritiro degli alleati dall’Afghanistan.
Quest’operazione sarebbe stata favorita dall’offensiva di Petraeus contro i talebani in Pakistan sia con le truppe speciali paracadutate, sia con i bombardamenti massicci dagli aerei senza piloti. L’offensiva militare occidentale sarebbe costata ai talebani circa cinquemila morti, tutti tra guerriglieri, una perdita tanto grave da convincere la nuova generazione di dirigenti a non rifiutare l’obiettivo della pace.
C’è anche chi nega che ci siano contatti tra emissari del governo e dei talebani e lo fa con alcune semplici domande.
Se fosse vero che ci sono dei contatti, nessuno avrebbe vantaggio a far filtrare la notizia, perché sarebbe controproducente. Sarebbe più logico annunciare un processo di pacificazione a risultati avvenuti, non prima, perché altrimenti i risultati sarebbero irrimediabilmente compromessi dall’offensiva degli irriducibili.
Inoltre, per i talebani non sarebbe cambiato nulla rispetto al passato e il passato vuol dire: nessun riconoscimento del governo Karzai, nessun riconoscimento della Costituzione, nessun riconoscimento delle elezioni fatte.
Dunque, nulla è certo. Ma allora, perché sarebbero state messe in circolazione notizie del genere? La spiegazione di coloro che negano negoziati segreti è che la voce sia stata messa in circolazione proprio dagli americani, i quali avrebbero interesse, per motivi elettorali, a diffondere queste notizie. Il dialogo tra i belligeranti preluderebbe alla fine della guerra, perciò potrebbe essere vantaggioso, elettoralmente parlando, essere considerati come coloro che hanno messo fine alla guerra. D’altra parte, anche i talebani sarebbero avvantaggiati: potrebbero attribuirsi la vittoria dicendo che i nemici sono dovuti scendere a patti per salvare la faccia.
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