L’India chiede alla Suprema Corte di Nuova Delhi un nuovo pronunciamento sulla compatibilità tra i trattati internazionali e le leggi indiane che attribuiscono ad essa la giurisdizione sulla vicenda dei due marò
Mentre gl’italiani si stanno leccando ancora le ferite per le note decisioni prima prese pubblicamente e poi ritirate, con evidenti implicazioni in politica interna ed internazionale, gl’indiani ostentano calma e soddisfazione per aver costretto l’Italia alla ragione.
Il ministro degli Esteri indiano, Salman Khurshid, ha commentato: “Il governo italiano è stato molto sensibile, il suo comportamento più che corretto”. Il ministro indiano ha volutamente ignorato azioni italiane e reazioni indiane ed ha messo l’accento sul fatto che i due marò avevano la “licenza elettorale” fino al 22 marzo e che hanno rispettato le scadenze, accompagnati dal Sottosegretario Staffan De Mistura, promosso vice ministro. Dopo le dimissioni del ministro degli Esteri Giulio Terzi, l’interim è stato preso dal premier Monti, il quale, per le vicende politiche interne, è stato prorogato con pieni poteri, malgrado in pieno Parlamento abbia esclamato che non vedeva “l’ora di essere sollevato dall’incarico”. Finora, tra tutti i soggetti in causa, gli unici che hanno dimostrato serietà sono proprio i due soldati, che non hanno fatto altro che obbedire, come dice il loro status di militari. Hanno obbedito quando il governo italiano aveva deciso di non farli rientrare, hanno obbedito quando ha preso la decisione contraria. “Un militare”, hanno detto, non tradisce la parola data”.
E tuttavia, la loro odissea non è affatto terminata, anzi, sembra essere appena all’inizio. Cominciamo con il dire che per quanto riguarda la proposta italiana di rimettere tutta la questione ad un arbitrato internazionale, sembra che sia definitivamente caduta nel dimenticatoio. Il coltello dalla parte del manico ce l’hanno gl’indiani, i quali sembra che lo vogliano manovrare con i tempi infiniti delle loro procedure e con le esigenze inconfessabili delle regole “politiche” vigenti in India, dove ci saranno le elezioni politiche e dunque la lotta tra le fazioni si tinge anche di contenuti nazionalistici. In fondo, alle autorità indiane sia giudiziarie che politiche e partitiche, nonché religiose, non gliene importa nulla dei due pescatori uccisi. In un Paese dove quotidianamente vengono violentate donne e bambini e bambine al ritmo di una ogni pochi minuti, dove le vittime di omicidi per stupro, per lavoro, per vendetta, sono numerosissime e nemmeno perseguite, l’incidente in cui hanno perso la vita i due pescatori sarebbe passato completamente inosservato se il fatto non fosse stato preso a pretesto di lotta politica e per conquistare i voti dell’opinione pubblica facilmente manovrabile su temi di questo genere. Ma, appunto, ci sono le elezioni e dunque l’argomento sarà sempre attuale, fino a quando non si saranno svolte, cioè l’anno prossimo.
I tempi, dunque, saranno lunghi, molto lunghi. Qualche giorno fa, i due soldati si sono presentati davanti alla Suprema Corte che ne ha verificato il rispetto dei termini di rientro, e di nuovo a disposizione delle autorità giudiziarie indiane. La cosa era necessaria anche per la vicenda personale dell’ambasciatore Daniele Mancini, che era stato interdetto nei movimenti – quindi di fatto sequestrato – non appena si era diffusa la notizia ufficiale del non rientro dei due soldati.
Probabilmente, l’ambasciatore Daniele Mancini, appena riacquistata la libertà di movimento prevista dal suo status di diplomatico, verrà richiamato in patria e sostituito con un altro ambasciatore, ma non è questo l’importante. Il fatto è che il governo indiano è intenzionato ad affidare alla Nia (l’Agenzia nazionale d’investigazione) le indagini sul caso, azzerando le inchieste finora svolte, e di impugnare la sentenza della Corte Suprema indiana perché ritiene di poter “provare che le leggi indiane sulla sicurezza marittima e sulle acque territoriali non entrano in conflitto con i trattati o le convenzioni Onu”.
In realtà, queste sono tesi difficilmente sostenibili, perché i tratti internazionali dicono che un Paese ha giurisdizione solo in acque territoriali, che nelle “acque contigue”, cioè quella fascia tra le acque territoriali e quelle internazionali, ha giurisdizione solo in materia di pesca e non di altro, ma la realtà è che l’India vuole perdere tempo e confondere – è proprio il caso di dirlo – le acque.
L’India ha presentato domanda per entrare a far parte del Consiglio di sicurezza dell’Onu, se l’Italia non vuole continuare a fare l’errore finora commesso, cioè di risolvere da sola una questione che sembra ormai essere tutta nelle mani dell’India, non ha che da far valere il suo voto e quello dei Paesi che riuscirà a portare dalla sua parte, in primis quelli europei, i quali, se dicono no all’Italia, se non l’aiutano in quest’impresa, devono far riflettere le forze politiche e istituzionali del nostro Paese. L’Europa, insomma, non può essere un’entità astratta e dove ognuno pensa solo a sé.
L’Italia, poi, deve anche perdere una buona volta il vizio di delegittimare sul piano interno ed internazionale l’avversario che vince le elezioni e deve imparare a fare politica prendendo come punto di riferimento la dignità del Paese per il prestigio del quale tutti, maggioranza e opposizioni, devono lavorare. Sempre.