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22 November 2024
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L'altra parte della vita

Ti regalo un amore

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Quella mattina non voleva proprio alzarsi dal letto, se ne stava piegato in una strana posizione, con lo sguardo assente, senza batter ciglia. Lo guardavo: era mio padre.

Non sapevo cosa fare e se dirgli qualcosa, visto che avevo esaurito tutte le buone frasi che si usano in queste circostanze, conosciute molto bene da me. Non era un cattivo padre, ma da quando la mamma l’aveva lasciato per un banchiere austriaco, lui aveva deciso di morire, ma non con il solito colpo di pistola, né sotto i binari di un treno. Lui voleva morire lentamente, dimostrando al mondo che l’amore uccide.

La nostra cucina non era bellissima. L’unica cosa che mi piaceva erano gli adesivi delle città che affiggevo sul frigorifero, sognando che un giorno le avrei visitate.

Non mi piaceva fare colazione da solo, ma ero costretto, visto che lui preferiva starsene a letto per conto suo. Accesi la tv, una cosa solita per me, e mi persi seguendo un documentario sulle erbe mediche.

Ce n’era una che mi colpì. Aveva un nome troppo serio e il potere di dare la giusta energia per sollevarti l’umore, con una sola pillola sciolta in acqua calda. A dir la verità non so se una sola pillola sarebbe bastata per l’umore di mio padre, ma volli provare.

La dottoressa in farmacia mi guardò un po’ dubbiosa, visto che avevo solo tredici anni, e mi chiese a cosa mi servisse. Dissi che mio padre era un veterinario e, siccome il mio cane era triste, l’avrei aiutato dandogli la pillola magica. Non so quanto credette a quella storia, ma mi diede ciò che avevo chiesto.

Mio padre era ancora in quella strana posizione, ancora più assente di prima, e il mio coraggio arrossì dalla timidezza di dirgli qualcosa, ma mi feci forza e chiesi se volesse un tè caldo. Passarono circa cinquanta secondi interminabili prima che mi rispose di no. “Dai papà, prendi un tè caldo! Mi faresti felice!” cercai di convincerlo, finché disse quel tanto desiderato sì.

Ne misi tre di pillole, tanto per essere sicuri, e lo diedi a lui che lo bevve in un solo colpo. Passarono alcuni minuti e altri ancora, ma quella posizione misteriosa era in simbiosi con la sua vita. Non fece nessun cenno e nemmeno un piccolo movimento della mano verso il viso, dal momento che una mosca era tranquillamente appoggiata sul suo naso.

Il giorno dopo aumentai la dose, con sei pillole, visto che il foglietto illustrativo non citava effetti collaterali. Dopo averlo convinto con il metodo degli occhi dolci e le parole delicate, bevve il suo tè. Mai guardato così tanto un orologio e quella lancetta dei secondi che mi incuteva ansia, sperando nel miracolo! Poi all’improvviso si alzò dal letto e subito pensai che le pillole fossero veramente magiche, e che il giorno successivo gliene avrei date dieci. La grande euforia si concluse con il rumore dello sciacquone del water e la lenta marcia verso il letto.

Sapevo che le pillole non erano la strada verso il successo e questo mi rattristava.

D’estate non c’era scuola ed ero costretto a restare a casa perché mio padre non mi faceva uscire da solo. L’importante per lui era sentire i miei passi dentro casa, e questo gli bastava per credersi un padre.

Non provavo odio verso di lui, perché fino all’età di undici anni mi portava al cinema e mi raccontava le favole prima di dormire. Mia madre non aveva lasciato solamente mio padre per un banchiere austriaco che veniva spesso a cena a casa nostra, ma aveva lasciato anche me.

Una lettera di venti righe e un assegno, che per un ragazzo della mia età valeva molto meno di un adesivo di quelli sul mio frigorifero. A pensarci bene, mio padre non depositò più assegni in nessuna banca del mondo da quando venne lasciato per quel banchiere, quindi, supponendo che i miei soldi fossero custoditi in cassaforte, pensai che un bel regalo poteva trascinarlo via da quella spiacevole condizione.

Continua 

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