Abbiamo contattato il campione siciliano, protagonista dei mondiali del ’90, che il 12 giugno sarà ospite a Zurigo dell’evento Gente di Mare… esattamente come quattro anni fa, ha ricordato come buon auspicio per tutti i tifosi azzurri
Buon giorno Salvatore, dove ti trovi in questo momento?
Sono al Sestriere per partecipare ad un evento legato ai mondiali di calcio; sono qui con Baresi e Antonioni per presentare uno degli sponsor della Nazionale italiana, la birra Peroni.
Tra pochi giorni cominceranno i Mondiali, e non è possibile non parlare con te del Mondiale 1990 in Italia, quello delle notti magiche. Durante quel mondiale si è scritta la favola di Totò Schillaci. Che ricordi hai di quell’avventura?
Per me è stata una sorpresa, non mi aspettavo neanche di partecipare. Pensa che sono stato l’ultimo ad essere convocato e per me era già un sogno far parte del gruppo; non immaginavo assolutamente il grande successo ma ci ho messo tutto l’impegno possibile per ottenerlo; è vero, è stata una favola e conservo dei ricordi bellissimi e un’emozione che non si può raccontare.
Che mi dici del famoso goal di testa contro l’Austria, pensi abbia rappresentato una specie di metafora per l’Italia?
Quel goal è stato paradossale: io ero in mezzo a due torri, la palla, crossata sulla fascia laterale da Vialli, era talmente tesa che ha preso una direzione strana e arrivò proprio a me nonostante le due torri austriache che erano davanti; a volte ripensandoci penso sia stato il destino come succede in alcuni casi della vita in cui succede qualcosa che proprio non ti sai spiegare.
Sì, forse è stato il destino a volere che quella palla arrivasse proprio a me.
La tua carriera in Italia si conclude nel 1994 quando a trent’anni hai preso la decisione di trasferirti in Giappone, primo italiano a giocare in Asia. Perchè questa decisione?
Io venivo da parecchi infortuni e quando è arrivata questa offerta mi trovavo in una situazione molto delicata per un calciatore; ormai ero fuori dal giro e non avrei più potuto giocare a livelli alti come in passato.
Diciamo che in quel momento così delicato ho pensato alle prospettive economiche legate all`offerta e alla possibilità di vivere un’esperienza in Giappone che mi affascinava da tempo. Sono stato il primo italiano a giocare all’estero, ho un po’ aperto le porte a tanti miei colleghi che poi hanno scelto di giocare fuori dall’Italia.
Parlaci della tua esperienza in Giappone. Cosa ti è mancato maggiormente?
In Giappone ho vissuto in una situazione privilegiata rispetto ad un emigrante che va all’estero per lavorare. Avevo a disposizione interprete, autista e quello che dovevo fare era solo giocare e allenarmi; tutte le difficoltà dell’emigrante che deve ricominciare tutto daccapo in un paese straniero io non le ho vissute. Sì a volte mi mancava l’Italia, soprattutto nell’ultimo anno mi mancava lo stile di vita italiana, i posti che mi sono cari e poi la famiglia.
Tu oggi sei un’imprenditore e gestisci a Palermo la scuola di calcio per ragazzi Louis Ribolla. Questa scuola ha anche un ruolo sociale?
L’amore per lo sport e per il calcio mi hanno portato a creare un centro sportivo proprio là dove ho cominciato anche io a giocare a calcio; ho voluto creare qualcosa per i ragazzi perchè credo profondamente nel valore e nell’importanza dello sport per le nuove generazioni.
Con questa scuola ho potuto mettere a disposizione la mia esperienza e mi dà molta soddisfazione vedere dei bambini che cominciano a giocare a cinque sei anni e piano piano diventano dei campioncini.
Perchè non ti sei mai dedicato all’allenamento come molti tuoi colleghi?
Credo che per un calciatore la vita sia molto sacrificata, anche se ti pagano bene sei sempre impegnato con gli allenamenti e i ritiri, una parte della tua vita se ne va, la dedichi solamente al calcio. Io ho voluto dedicarmi ad un progetto in cui credo e che mi piace ed ora voglio godermi la vita e tutte le cose a cui ho rinunciato per il calcio; fare l’allenatore avrebbe significato una grande responsabilità e tornare ad una vita di sacrifici e rinunce e questo non era ciòche volevo.
Che consiglio puoi dare ad un giovane che punta tutto sul calcio tralasciando lo studio?
Prima di tutto bisogna iniziare presto, possibilmente in una buona scuola di calcio a 13, 14 massimo 15 anni e sfruttare al massimo questi 3 anni che per diventare professionista sono gli anni più importanti; poi consiglio l’impegno e la serietà che sono fondamentali per raggiungere buoni risultati. Infine consiglio di non accanirsi a voler diventare calciatore a tutti i costi per poi rimanere delusi tutta la vita; se a 17, 18 anni non si sono raggiunti buoni risultati consiglio di lasciar perdere.
E a un professionista calciatore che smette di giocare?
Consiglio di continuare a lavorare e ad investire nel mondo del calcio e di occuparsi di cose di cui si ha l’esperienza e la competenza; molti calciatori quando vanno in pensione sono tentati di intraprendere attività di cui non hanno nessuna conoscenza e rischiano di perdere tutto quello che hanno guadagnato.
Il calcio in questi 20 anni è molto cambiato e tutto sembra più un business che uno sport. Pensi che la favola italiana di Totò Schillaci sia oggi ancora possibile?
Tutto è possibile e io mi auguro che in questo mondiale ci sia un giocatore che possa ripetere l’esperienza vissuta da me 20 anni fa, segnare tanti goal e diventare un simbolo per la nazionale italiana e per i tifosi.
In Svizzera ci sono tanti connazionali e siciliani che ti ricordano e stimano. L’ultima volta che sei venuto a Zurigo, all’evento di “Gente di Mare”, l’Italia è diventata Campione del Mondo. Un buon auspicio quindi anche per questa volta…
Sì, speriamo. Fu una bella festa con tanti ragazzi italiani, di tutte le regioni. E spero che anche questa volta il pubblico sia numeroso per poterci caricare tutti insieme per i Mondiali e dare inizio al sogno Azzurro del 2010.
Grazie Totò per la tua disponibilità e simpatia e arrivederci al 12 giugno qui a Zurigo.
Paola Volk (go-italy.ch)