Gheddafi circondato nel suo bunker mentre la guardia presidenziale si è arresa
La situazione è cambiata precipitosamente in Libia e a ritmi tanto veloci che al momento dell’uscita del giornale gli scenari fino ad appena qualche giorno fa insperati potrebbero subire ulteriori cambiamenti. A dare la svolta sono state dapprima le “voci” provenienti dall’intelligence Usa che parlavano di un Gheddafi che avrebbe avuto “i giorni contati”. La notizia è stata rilanciata sul Corriere della Sera da Lorenzo Cremonesi, inviato in Libia, che ha scritto testualmente: “L’inizio dell’estate aveva visto lo stallo e addirittura la ripresa dell’offensiva di Gheddafi. Perfino dai comandi Nato crescevano le spinte per cercare un compromesso con il Colonnello. Ora non più”. Poi la svolta si è verificata anche nei fatti. Cosa è successo? È accaduto che negli ultimi giorni i raid alleati si sono intensificati per imprimere una svolta reale alle sorti della guerra in Libia. La missione alleata è finanziata fino a metà settembre, cioè ancora per tre settimane, poi avrebbe dovuto esserci il ritiro. È chiaro che in assenza di risultati concreti la missione sarebbe stata votata ad un clamoroso fallimento. Lo sapevano tutti, gli insorti, le truppe lealiste, la Nato e i Paesi che partecipano alla missione, e il Colonnello stesso, che aveva evidentemente un solo traguardo: arrivare indenne fino a metà settembre. È proprio quello che hanno cercato di evitare gli insorti e la Nato, che ha intensificato, appunto, gli attacchi, i quali hanno creato tra le truppe fedeli a Gheddafi un grande sconvolgimento, anche perché, contemporaneamente, agli insorti è riuscito di accerchiare Tripoli.
A est della capitale avrebbe resistito fino all’ultimo Al-Khum e a Ovest Zuwara, ma già tra quest’ultima città e Tripoli erano cadute in mano agli insorti Zawijra (raffineria), Sorman, Zintan e Gharyan. In mano a Gheddafi, oltre, appunto, a Zuwara e Al-Khum ci sarebbe, molto più a Sud, anche Al-Qawalish. Se la descrizione è comprensibile, Gheddafi sarebbe accerchiato e accerchiatore contemporaneamente, esattamente come gli insorti, ma questi ultimi l’hanno spuntata. Prima che ci fosse l’accelerazione delle operazioni militari, le “voci” erano due. La prima parlava di un Gheddafi pronto a salire su un aereo parcheggiato all’aeroporto di Djerba, in Tunisia, e messo a disposizione sua, della sua famiglia e dei suoi fedelissimi da Hugo Chàvez, in direzione del Venezuela; la seconda voce parlava solo di una possibile fuga verso la Tunisia. Un’ipotesi invece suggerita dall’intelligence della Nato, e temuta dalla comunità internazionale, era che Gheddafi e i suoi fedeli si stessero per preparare alla battaglia finale, con tutte le conseguenze che ne sarebbero derivate, perché – e lo confermava lo stesso inviato del Corriere, Lorenzo Cremonesi – “i fatti dicono che Gheddafi è ancora forte. Le sue tribù più fedeli a Sirte e a Bani Walid restano con lui”. Le ultime informazioni dicono invece che Tripoli è caduta e che gli insorti stanno festeggiando il regime in frantumi.
In un ultimo messaggio ai suoi fedeli Gheddafi aveva detto: “Ripulite la città e uccidete i ratti”, corredando il messaggio con due propositi. Il primo è che lui non sarebbe mai andato in esilio ma sarebbe stato fermamente deciso a rimanere fino all’ultimo in Libia; il secondo è più funesto, ha detto, infatti, che lui sarebbe restato e che Tripoli in mano ai suoi nemici sarebbe “bruciata”. Queste parole le avrebbe pronunciate proprio prima dell’entrata nella capitale degli insorti. Il Colonnello è attualmente asserragliato nel suo bunker, mentre fuori la guardia presidenziale ha deposto le armi e tre dei suoi figli sono stati arrestati. C’è una dichiarazione importante dei capi della rivolta ed è che Gheddafi o dovrebbe rinunciare al potere o lasciare la Libia. Se questa dichiarazione sarà confermata e fatta propria da tutti gli altri, vorrà dire che il bagno di sangue finale potrebbe essere evitato ed essere il segno di una riconciliazione. Di riconciliazione hanno parlato, abbracciandosi a Roma, l’ex ambasciatore libico, Abdulhafed Gaddur, e Abdel Salam Jallud, numero 2 del regime per 20 anni, dal 1993 al confine in una villa a Tripoli e negli ultimi giorni fuggito a Roma. I due, brindando alla caduta del regime, si sarebbero augurati non la morte di Gheddafi, una pena troppo breve, ma un processo per crimini. Con la caduta del regime si apre il dopo Gheddafi. La Libia è ridotta in macerie fumanti, l’immediata pacificazione sarà difficile, anche perché la rivolta, a giudizio degli esperti, sarebbe stata opera di una accozzaglia di gente senza un vero progetto politico valido, per cui, ad approfittarne, potrebbero essere i fondamentalisti islamici, eterodiretti dal Qatar, alleato dell’Iran.