Ci sono scrittori, come Truman Capote (1924-1984), le cui esperienze artistiche e sociali oltrepassano i limiti della umana esistenza. Impossibile parlarne al passato: nella letteratura contemporanea, specie americana, la produzione di Capote scandisce un prima ed un dopo ancora attualissimi. “Sono alto più o meno quanto un fucile, ed altrettanto rumoroso”, ironizzava sul suo aspetto. Segnato da una infanzia infelice e da limiti fisici, il giovane Truman si avviò alle esperienze della vita nel periodo della crisi economica degli Anni Trenta, complessato anche dalle instabili relazioni sentimentali e dai problemi di alcolismo della madre. Fu il talento letterario a riscattare il giovanissimo Capote da un destino che per lui sembrava segnato. La sua straordinaria capacità di osservazione e facilità di prosa gli spalancarono le porte del successo. Prima al New Yorker, ancor oggi una delle maggiori riviste di attualità americane ed ispiratrice, anche in Italia, dei supplementi settimanali dei più noti quotidiani nazionali. Poi della storica rivale di Vogue, ovvero: Harper’s Bazaar, incontestata bibbia delle cronache dal jet-set.
E siccome, ricorda il proverbio, nulla ha più successo del successo, la carriera di Capote iniziò a decollare senza limiti: sociali e morali.
“Sono un alcolizzato. Sono un tossicomane. Sono un omosessuale. Sono un genio“: così si descriveva all’apice del successo. Protagonista incontestato della alta società internazionale, Capote ha anticipato i moderni opinionisti televisivi ed influencer digitali. Egocentrico, presenzialista, amato-odiato dai ricchi e famosi per il suo potere di creare o distruggere una reputazione, Capote dall’alto del suo talento si prendeva gioco del mondo dei salotti di cui era indiscusso protagonista: “non mi importa cosa la gente dice di me finché non è vero.”
“E’ durata poco la bellezza – Tutte le lettere di Capote”, ora pubblicato da Garzanti come le altre opere che seguono, più che una autobiografia, è una selezione ragionata della corrispondenza epistolare dello scrittore americano, pubblicata per concessione dei più importanti archivi letterari statunitensi.
I commenti inviati ai suoi amici e conoscenti costituiscono un narrato che guida il lettore a scoprire o riconoscere la complessa personalità dell’autore, come ad esempio accade leggendo la messaggistica elettronica o social che ci scambiamo con gli odierni dispositivi elettronici.
Il volume raccoglie le annotazioni di Capote e le suddivide in quattro sezioni.
1924-1948, gli anni esuberanti, ovvero quelli degli esordi e del suo primo successo “Altre voci, altre stanze”, ritratto del suo vissuto giovanile già oltre le convenzioni.
1949-1959: gli anni dell’avventura, in cui scrisse l’indimenticabile “Colazione da Tiffany”, poi interpretato al cinema da Audrey Hepburn.
1959-1966: quattro omicidi ed un ballo in cravatta nera, periodo del suo “A sangue freddo”, anticipatore degli odierni libri-verità, gli instant-book, ispirati dai fatti di cronaca nera.
1966-1984: preghiere, esaudite e no, in cui scrisse “Musica per camaleonti”, e, appunto, “Preghiere esaudite”, produzioni in stile docu-fiction, dove realtà e fantasia si alternano nel riferire esagerazioni e degenerazioni dell’alta società. Proprio quelle che tutti immaginano ma nessuno osa confermare; eccetto Capote, che del bel mondo ha sempre fatto parte, bruciato da una sua ansia di vita contaminata da un altrettanto inguaribile cinismo.
“Si versano più lacrime per le preghiere esaudite che per quelle non accolte”: così Truman Capote si congedò dai suoi lettori al termine del suo ultimo volume, rimasto incompiuto.
Si spense, non ancora sessantenne, rifiutando di chiamare un medico.
Forse per congedarsi dalle ombre di quel suo mondo dorato di cui aveva finalmente compreso la superficialità.
di Nicoletta Tomei