Bersani offre la collaborazione a Monti che l’accetta a condizione che Vendola resti fuori, ma il Pd non rinuncerà ad un alleato come Nichi Vendola, intanto si fa avanti anche Ingroia
“Stop and go” nel centrosinistra. Da una parte si offre, dall’altra si precisa, poi ancora si vede l’effetto che fa. Questa tattica sembra essere stata applicata sia con Monti che con Ingroia, anche se è stato quest’ultimo a offrire e nello stesso tempo ad aspettare.
Il primo è stato Bersani a offrire “collaborazione” a Monti. In sostanza, Bersani potrebbe aver bisogno del premier ridotto a “collaboratore”, ma solo nel caso in cui non dovesse raggiungere la vittoria piena sia alla Camera – dove è certa – che al Senato, dove non è certa per nulla. Se vincerà in entrambe le Camere, allora Monti dovrà accontentarsi di aggiungersi al centrosinistra, se Bersani non vincerà al Senato, allora avrà bisogno dei voti di Monti che sarà determinante e che perciò diventerà alleato a pieno titolo con potere, se non di ricatto, almeno di condizionamento.
Perché Bersani ha fatto l’offerta di collaborazione a Monti? In realtà, l’ha fatta più che per farla per davvero per saggiare gli umori elettorali, per vedere se gli elettori apprezzano o meno l’offerta. Ma l’ha fatta anche per non spezzare il filo con il premier che, negli ultimi tempi, aveva polemizzato aspramente con il Pd, prima datandone l’anno di fondazione nel 1921 (nascita del Partito Comunista d’Italia), poi dichiarando il collegamento tra Mps e il Pd. C’è un terzo motivo per cui Bersani ha offerto la collaborazione a Monti, ed è che sta scendendo nei sondaggi a causa proprio sia della vicenda Mps, sia delle implicazioni nell’uso delle risorse regionali in Lombardia e in altre regioni.
Monti, di fronte all’offerta di Bersani, sapendo bene che la sua posizione è ambigua (cioè aggiuntiva o determinante, dipende dai voti che prenderà), si è limitato a dire che sarà alleato “solo con chi vuole fare le riforme”, che è un modo come un altro per non dire nulla di chiaro. Ha aggiunto, comunque, una nota polemica: sarà alleato ma non con Vendola. A questo punto è intervenuta Rosi Bindi per precisare che se l’alleanza si farà, sarà con Vendola. Poi, Bersani ha chiuso l’offerta, rimandandola a tempi migliori.
La lista di Monti al Senato e le liste che si rifanno a Monti alla Camera (Udc, Fli, Italia Futura di Montezemolo), malgrado i suggerimenti (“cattiveria”) del consigliere di Obama che sta seguendo la sua campagna elettorale, non brillano per consenso, e questa è una posizione difficile di Monti. Casini, due o tre settimane fa, disse che il raggiungimento del 20% sarebbe stato eccellente, un risultato attorno al 10% deludente. I sondaggi dicono che Monti si attesterà sul dieci per cento, nella migliore delle ipotesi sul 13%, una delusione, appunto.
Nella coalizione del premier tira una brutta aria. Monti, al Senato fagociterà l’Udc, Fli e Italia Futura, ed è logico, visto che la coalizione è lui. Ma alla Camera il rischio è che il risultato sia ancora più deludente, perché concorreranno i tre partiti da soli. Monti ne è solo il riferimento. In ogni caso l’Udc e Fli rischiano di avere una batosta. Già stanno accusando Montezemolo, la terza gamba alla Camera, di non fare nulla o quasi, poi ci si mettono i sondaggi che li danno sotto il 4% (Udc) e addirittura attorno allo 0,5% (Fli). Se Monti sarà determinante per la maggioranza anche al Senato, si apriranno i giochi di potere. Monti non sarà ministro dell’Economia, non sarà nemmeno ministro degli Esteri (posto prenotato da D’Alema), dunque si prospettano due soluzioni: o l’Europa o la presidenza del Senato, nel qual caso sono da ridimensionare anche le ambizioni di Casini. Se Monti non sarà determinante, comunque per lui le prospettive sono le medesime, ma per Casini e Fini resterebbero le briciole. Tira aria di resa dei conti in una coalizione dove in realtà non c’è unità. Solo ora Monti si rende conto di aver fatto male a puntare su Fini e Casini, il gatto e la volpe.
Lo “stop and go” ha fatto capolino anche a sinistra del Pd. Dopo aver rifiutato la desistenza ed essersi arroccato in una incerta autosufficienza, Ingroia e Di Pietro hanno capito che se supereranno la soglia del 4% – cosa non scontata anche se i danni del Pd sono una manna non tanto per Berlusconi quanto per Ingroia – comunque non andranno molto lontano ed allora hanno deciso di rientrare nel gioco politico e di offrire i loro voti al centrosinistra, a condizione che il Pd chiuda con Monti. Insomma, il Pd viene corteggiato dal centro e dalla sinistra ma ciascuno alle proprie condizioni.
Una cosa è certa, in caso di bisogno al Senato, sono in tanti ad offrire i loro voti, tutti a caro prezzo, al punto che c’è solo l’imbarazzo della scelta. Nel caso in cui il Pd sarà costretto a farla, certamente la farà con il centro, se non altro perché dovrebbe essere numericamente più robusto ed offre garanzie maggiori sul piano internazionale, con buona pace di Ingroia e Di Pietro che, se supereranno la soglia di sbarramento, al massimo faranno atto di presenza e di rappresentanza.
Intanto, però, sono in tanti a temere un exploit di Grillo