L’America che lui vuole “preservare” dagli attacchi terroristici, dalla possibilità che si possa nascondere qualche attentatore sotto mentite spoglie di rifugiato, si ribella e non accetta i provvedimenti presi da Trump nei confronti dei sette paesi islamici a cui è stato vietato l’ingresso.
Così in tutta l’America si mobilitano proteste contro l’ordine esecutivo firmato da Trump lo scorso venerdì, che impedisce a tutti gli stranieri provvisti di visto di entrare in America. L’Alto Commissario del Consiglio per i Diritti umani dell’Onu, Zeid al-Hussein si è espresso descrivendo questo emendamento come “illegale e meschino” e ha ricordato che la discriminazione sulla sola base della nazionalità “è proibita dalle leggi umanitarie”. Le agenzie dell’Onu più direttamente impegnate con le migrazioni, l’Unhcr e l’Iom, hanno diffuso un comunicato congiunto in cui l’ordine esecutivo non è stato menzionato, e nel quale si invitano gli Stati Uniti a “continuare nella sua forte leadership e lunga tradizione di proteggere coloro che fuggono dai conflitti e dalle persecuzioni”.
Ma le azioni vere che possono forse fronteggiare un atto così forte come quello del Presidente Trump, che fino adesso è apparso incurante delle proteste e dei comunicati o ammonimenti da parte di altre nazioni o delle Ong, sono quelle intraprese da una grande e famosa catena di caffetterie Starbuck che ha promesso di assumere ben 10.000 rifugiati in tutto il mondo nei prossimi cinque anni. È attraverso questa “mossa” che il fondatore della catena statunitense Starbucks Howard Schultz risponde al decreto anti-immigrazione del presidente Donald Trump. “Noi non rimarremo a guardare, non rimarremo in silenzio mentre l’incertezza sulle iniziative della nuova amministrazione cresce ogni giorno che passa” si legge nella lettera scritta ai dipendenti. Una mossa che metterà in difficoltà il neo presidente visto la larga diffusione di queste caffetterie in America (e in tutto il mondo). Schultz è anche intervenuto sulla questione del muro che Trump vuole costruire al confine con il Messico, Paese dove Starbucks conta 600 caffetterie con 7.000 dipendenti, affermando che bisogna “costruire ponti, non muri con il Messico”, tanto che ha annunciato che Starbucks sosterrà i coltivatori di caffè messicani.
Ma non è il solo, dopo di lui altri colossi hanno dato la propria risposta: Airbnb ha scritto su Twitter che la società sta provvedendo a fornire appartamenti gratuiti ai cittadini stranieri bloccati negli aeroporti. Per i tassisti dipendenti di Uber bloccati nei loro paesi la ditta provvederà a loro e alle loro famiglie le risorse necessarie per sopravvivere. Google ha invece raccolto 4 milioni di dollari. Per metà arrivano dalle casse della società e per l’altra metà dai dipendenti destinati ai rifugiati.
Dopo aver ingoiato questo boccone amaro, quale sarà la prossima mossa di Trum?
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foto: Ansa