In un’intervista al Corriere della Sera il ministro dello Sviluppo Corrado Passera dice: “Le tasse sono ormai un capitolo chiuso”
Quando il nostro giornale sarà già stampato, cioè l’11 gennaio, dovrebbe essere pubblicata la decisione della Corte Costituzionale sull’ammissibilità del referendum per abolire la legge elettorale. A giudizio degli esperti, la Corte Suprema probabilmente giudicherà inammissibile il referendum. Però, anche se lo dovesse ritenere ammissibile, in fondo, questo referendum non interessa più a nessuno, tranne che all’Idv che lo ha promosso. La realtà è che negli ultimi 3 anni si è parlato molto di cambiare la legge elettorale solo per spirito di opposizione. Oggi, anche quei partiti che hanno raccolto le firme sono diventati molto tiepidi sull’argomento. È evidente che cambiato il governo è venuto meno la materia del contendere. Ma il tema è meno sentito anche perché con la nuova situazione politica che si è creata dopo le dimissioni di Berlusconi e dopo la nomina di Mario Monti il dibattito politico si è ridotto ad un solo tema: come uscire dalla crisi. La sfida è tutta qui, l’abbiamo detto la settimana scorsa, e rischiamo di riscrivere lo stesso articolo. Lo spirito polemico si è spento, i tre maggiori partiti, una volta antagonisti, lo sono tuttora, ma non lo possono dire ad alta voce, tutti tesi a sostenere Monti senza possibilmente farlo sapere troppo in giro, ben consapevoli che chi ritira l’appoggio verrà trattato da irresponsabile. In una parola, tutti, anche i più critici, sanno che se si perde il treno della svolta reale – fatta cioè di riforme che rimettano in moto il sistema politico e soprattutto economico – il Paese rischia brutto. Non – e in questo aveva ragione anche Berlusconi – perché la crisi è nata e cresciuta in Italia, ma perché la speculazione ha aggredito chi aveva un debito pubblico molto elevato, sapendo bene che l’Europa non ha una Banca Centrale con potere di emettere moneta e di prendere misure di stabilizzazione della moneta stessa, e sapendo bene che nessun singolo Paese può farlo. Dunque, con la manovra approvata prima di Natale si è chiusa la fase uno ed ora si è aperta la fase due. In un’intervista al Corriere della Sera, il ministro dello Sviluppo, Corrado Passera, ha detto che non ci sarà una nuova manovra e dunque che la politica delle tasse si è chiusa. Ora, ha detto il ministro, “abbiamo un piano per la crescita. Per liberalizzare e per favorire i consumatori. Per sostenere le imprese. Per investire nell’istruzione, nella ricerca, nella giustizia. L’Italia ha fatto e farà la sua parte. Serve però che la faccia anche l’Europa. A cominciare dalla Germania”.In sostanza, riacquistata credibilità, sia con un nuovo premier, sia con una manovra credibile (seppur recessiva), l’Italia non può essere additata come l’anello debole. Resta il fatto che lo spread è sempre elevato, ed ancor più di due mesi fa.
Ecco un passaggio importante dell’intervista del ministro Passera: “L’Europa non riesce a decidere con visione e pragmatismo, i mercati valutano che l’Europa non ce la faccia, quindi scommettono contro; e i Paesi con un debito più alto soffrono di più. O l’Europa decide di darsi gli strumenti che qualsiasi moneta ha, vale a dire una Banca centrale in grado di garantire la liquidità e la stabilità, oppure non ci sarà crescita e non ci sarà occupazione”. Il ministro dello Sviluppo – la fase due dipenderà da lui in maniera preponderante – ha detto a proposito delle liberalizzazioni che si procederà con un decreto al mese e, se necessario, anche con più di uno. Ecco le cose concrete da fare nei prossimi mesi: “Cose concrete per favorire l’innovazione, la revisione del sistema degli incentivi. Per stare accanto alle aziende che stanno salvando l’Italia grazie alle esportazioni (…) faremo sì che venga saldato lo scaduto dei pagamenti privati e pubblici: 60-80 miliardi di debito forzoso che gravano sulle imprese e stanno diventando un peso insopportabile”. Passera si espone al punto da promettere “più soldi in tasca a chi ha i redditi più bassi, in cambio di maggior produttività, e dobbiamo semplificare, snellire l’enorme costo burocratico che grava sulle imprese che vorrebbero investire, crescere, nascere”. Sembra un libro dei sogni e probabilmente lo è, nel senso che non si potrà fare tutto e in poco tempo. Soprattutto è urgente un cambiamento di mentalità e di abitudini, senza il quale le riforme avranno vita breve, ammesso che si riesca ad approvarle. Un esempio non dignitoso sono i costi della cosiddetta casta. Mesi fa sembrava che la Commissione nominata ad hoc potesse fare proposte concrete e invece ha deciso che non poteva decidere. In Italia quando non si vuole decidere si nomina una Commissione, la quale per i tempi che impiega a non decidere stempera l’urgenza di un cambiamento che poi non si verifica. Ciò detto, però, siamo convinti che nei prossimi mesi, data anche l’eccezionalità e la gravità della crisi, si potrà fare quel salto di qualità che negli ultimi quarant’anni è stato declamato ma nessuno non solo non è riuscito a renderlo possibile, ma ha addirittura aggravato la situazione facendo il contrario, con una politica che ha aumentato quel debito che ora è diventato una palla al piede. [email protected]