Le persone in povertà relativa sono il 16,6% della popolazione (10 milioni 48 mila persone), quelle in povertà assoluta il 9,9% (6 milioni 20 mila). Nel 2013 aumentano le persone in condizioni di povertà assoluta l’indice passa dal 6,8% al 7,9% coinvolgendo circa 303mila famiglie e 1 milione 206mila persone in più rispetto all’anno precedente. Lo rileva l’Istat spiegando che a determinare l’aumento è soprattutto il Mezzogiorno dove si passa dal 9,8 al 12,6%”. Inoltre, nel 2013, risulta che il 12,6% delle famiglie è in condizione di povertà relativa (per un totale di 3 milioni 230mila) e il 7,9% lo è in termini assoluti (2 milioni28 mila). Nel Mezzogiorno, all’aumento dell’incidenza della povertà assoluta (circa 725mila poveri in più, arrivando a 3 milioni 72mila persone), si accompagna un aumento dell’intensità della povertà relativa, dal 21,4 al 23,5%. Tra il 2012 e il 2013, l’incidenza di povertà relativa tra le famiglie è stabile (dal 12,7 al 12,6%) in tutte le ripartizioni territoriali; la soglia di povertà relativa, pari a 972,52 euro per una famiglia di due componenti, è di circa 18 euro inferiore (-1,9%) al valore della soglia del 2012. Le dinamiche della povertà relativa confermano alcuni dei peggioramenti osservati per la povertà assoluta – rileva l’Istat – peggiora la condizione delle famiglie con quattro (dal 18,1 al 21,7%) e cinque o più componenti (dal 30,2 al 34,6%), in particolare quella delle coppie con due figli (dal 17,4 al 20,4%), soprattutto se minori (dal 20,1 al 23,1%). Ai suddetti peggioramenti, in termini di povertà relativa si contrappone il miglioramento della condizione dei single non anziani nel Nord (l’incidenza passa dal 2,6 all’1,1%, in particolare se con meno di 35 anni), seppur a seguito del ritorno nella famiglia di origine o della mancata formazione di una nuova famiglia da parte dei giovani in condizioni economiche meno buone. Nel Mezzogiorno, invece, migliora la condizione delle coppie con un solo figlio (dal 31,3 al 26,9%), con a capo un dirigente o un impiegato (dal 16,4 al 13,6%), che tuttavia rimangono su livelli di incidenza superiori a quelli osservati nel 2011.
La Puglia (-11,3%), la Sardegna (-9,8%) e l’ Umbria (-8,6%) salgono sul podio delle regioni che hanno tagliato di più la spesa alimentare dall’inizio della crisi, ma non mancano regioni dove si è registrato un aumento come il Trentino (+10%), il Molise (+6,2%), l’Emilia Romagna (+5,1%), il Piemonte (+3,8%), la Basilicata (+1,4%) e la Toscana (+0,6%). E’ quanto emerge da una analisi della Coldiretti sulla base dei dati Istat sui consumi delle famiglie nel periodo 2008 – 2013, dalla quale si evidenzia che la tavola è una componente importante del budget familiare della quale assorbe in media ben il 19,5% delle risorse con una spesa media mensile per famiglia è stata di 461 euro al mese, in calo del 2,9% rispetto al 2008 all’inizio della crisi.
La situazione, sottolinea la Coldiretti, varia tuttavia notevolmente nelle diverse regioni con le famiglie piemontesi che spendono per la tavola addirittura il 19 per cento in piu’ di quelle valdostane. Dall’importo minimo di 412 euro al mese in Valle d’Aosta ai 425 della Sicilia, 433 in Sardegna, 436 in Friuli Venezia Giulia , 436 in Calabria come in Veneto, 442 in Trentino, 445 in Basilicata e 450 in Emilia Romagna, 456 in Liguria, 457 in Puglia e 460 in Lombardia.
Una spesa per alimentari mensile a famiglia sopra la media nazionale si registra invece, continua la Coldiretti, in Molise con 463 euro, in Umbria con 467, nelle Marche con 469, in Toscana con 470 e Abruzzo con 479 con Lazio (485 euro al mese), Campania (489 euro al mese) e Piemonte (491 euro al mese) che salgono sul podio. In termini percentuali i consumi per alimentari e bevande che nel Mezzogiorno d’Italia assorbono oltre un quarto della spesa complessiva.