Abitudini, tradizioni e pratiche cinesi e indiane riprodotte in Italia e all’estero
Mesi fa furono pubblicati i risultati di un’indagine che riguardava le donne cinesi e indiane. L’indagine si riferiva ad un fenomeno tipico di questi due Paesi, evidentemente esportato anche all’estero, quindi non solo in Italia, ma anche altrove. Ad esempio, si sa che la differenza tra nati femmine e nati maschi è del 5% circa, cioè per ogni 100 neonate nascono 105 neonati. Il dato, però, per le cinesi non è così, su 100 femminucce nascono 109 maschietti Dove vanno a finire le femminucce mancanti? Vengono abortite, evidentemente non naturalmente, ma con una spinta. Ancora più accentuate sono le differenze quando si tratta di donne indiane. La nuova indagine ha accertato che questi dati, esistenti rispettivamente in Cina e in India, sono gli stessi che riguardano le donne cinesi e indiane in Italia. C’è, insomma, una importazione di abitudini e comportamenti, per cui si vive all’estero come se si abitasse in patria. Per certi aspetti ciò è normale, almeno per i primi anni, ma poi un minimo d’integrazione dovrebbe portare a un diverso modo di vivere. Invece, purtroppo, non è così. Come è possibile che ciò accada anche in Italia? Come e dove vengono praticati tutti questi aborti? È proprio questa l’informazione più realistica che è emersa dagli studi e in modo particolare dal confronto tra varie testimonianze e dati, non facilmente raccolti. Le donne cinesi e indiane, e in misura minore anche le donne africane, dopo qualche mese di gravidanza, si recano negli ambulatori e prenotano un’ecografia, eseguita la quale e venute a sapere che si tratta di una femminuccia, chiedono di abortire. In Italia, però, la legge 194 pone limiti precisi all’aborto, anche se non sempre vengono rispettati. Comunque, non è negli ospedali che sono praticati gli aborti, specie quelli per i quali sono già stati superati i limiti di tempo, ma altrove.
Esiste certamente anche tra queste comunità chi pratica aborti clandestini, ma con il passare del tempo e con la conoscenza delle procedure, in genere sono poche le donne che fanno ricorso a queste pratiche. Rivolgersi a personale specializzato, d’altra parte, si rischia di essere denunciate o comunque di pagare prezzi altissimi, e allora c’è un modo economico e sicuro per disfarsi del feto e sono i medicinali. Molte pillole, prese in dosaggio alterato, hanno tra gli effetti collaterali, anche quello di provocare l’aborto. Ora, e qui si apre un altro filone di situazioni drammatiche, a richiedere compresse che poi vengono ingurgitate per provocare l’aborto possono essere sia le donne, consapevoli delle conseguenze a cui vanno incontro se il loro marito sa che si tratta di una femminuccia, sia i mariti stessi, i qua-li, però, prima di costringere le loro mogli ad assumere pillole che possono anche essere pericolose per la salute, le caricano di botte. Per queste poverette, insomma, la scelta è minima: o botte più pillole e possibilità di conseguenze più gravi o pillole e conseguenze più gravi ma senza botte. Ecco perché sono le donne stesse che chiedono ai medici la prescrizione di pillole inventandosi sintomi e malattia.