La legge sul testamento biologico approvata al Senato con una maggioranza netta (150 sì, 123 no e 3 astenuti), anche perché alcuni dell’opposizione hanno votato con la maggioranza e altri della maggioranza con l’opposizione, pone un grosso problema di cultura politica che sarebbe auspicabile potesse essere superato alla Camera. Il testo prevede che in caso di stato vegetativo permanente, l’idratazione e l’alimentazione siano considerate “sostegno vitale” e non “trattamento medico”, quindi non possono essere sospese. Il secondo punto dice che le “dichiarazioni anticipate di trattamento” (Dat), rilasciate al medico curante e rinnovabili ogni cinque anni, non sono vincolanti per il medico, perciò la decisione finale la prende il medico che, comunque, non può sospendere l’idratazione e l’alimentazione. La maggioranza sostiene che questo testo blocca l’eutanasia e il suicidio assistito ed afferma la cultura della vita. Gli ospedali esistono per curare, non per far morire un paziente. Il punto di vista della maggioranza afferma un principio molto importante e condivisibile, la cultura della vita, tutelata dalla Costituzione; ma è una porzione di verità, non la verità tutt’intera. Anche l’opposizione è favorevole a bloccare l’eutanasia e il suicidio assistito, ma in caso di stato vegetativo permanente si chiede a chi appartiene la vita, se allo Stato o alla Chiesa o all’individuo; e rispondendo che appartiene all’individuo, l’opinione di quest’ultimo dovrebbe contare e invece con il testo approvato non conta. Anche questa posizione esprime tuttavia non la verità intera ma solo una porzione di essa. La propria volontà, infatti, non può obbligare un altro a decidere sulla vita di una persona che magari il progresso scientifico potrebbe
far ritornare ad uno stato di coscienza. Ciò che è mancato è un punto di sintesi che in qualche modo facesse convivere le due posizioni: l’affermazione della cultura della vita con il principio che l’alimentazione e l’idratazione sono sostegno vitale e nello stesso tempo che la Dat sia vincolante per il medico che, alla luce di una valutazione collegiale delle condizioni del paziente, deve prendere una decisione, magari con il concorso anche dal fiduciario scelto nella Dat. In sostanza, chi è per la cultura della vita deve essere libero di volere per sé l’idratazione e l’alimentazione fino alla fine naturale della vita; ma deve aver valore anche la volontà di chi le rifiuta perché considera lo stato vegetativo permanente una non vita e dunque quello che normalmente è un sostegno vitale diventa un trattamentosanitario e, come tale, a giudizio di uno o più medici,
soggetto a sospensione. È un tema delicato, come si vede, perché può sconfinare nell’imposizione di una visione non condivisa o nel suicidio assistito; ma per quanto complessa è materia che si può affrontare anche tendendo la mano a chi non la pensa come noi.