Da Dover al Vallo di Adriano
Sono giovani; sono belli e vestiti un po’ così; acculturati e geniacci; parlano tanti linguaggi; amano i viaggi e gli incontri tra i diversi; talvolta si arrestano, pensando di aver trovato l’ approdo: sono i ragazzi dell’Italia del secolo ventunesimo, fuggiti da un paese che non li ama e che non ha compreso il valore della loro ricchezza, intellettuale e umana.
Eppure, l’Italia ha dato loro la linfa vitale a vivere i sogni. Hanno tutti studiato nelle scuole migliori della repubblica, tanto vituperate per le indubbie disfunzioni, ma ancora all’altezza di aprire i cervelli della nostra gioventù ai molteplici saperi umani di cui è ricco il mondo.
Se ne sono andati come avrebbe fatto l’ardito muratore dopo avere costruito la Domus Aurea per se e i suoi cari, e l’avesse poi abbandonata al dominio della gramigna nella folta boscaglia. Ovunque li incontri: a Parigi come a Berlino; a Londra come a Madrid o Barcellona; a Stoccolma o Zurigo, senti che sono rimasti profondamente italiani.
Con negli occhi la curiosità, mista a nostalgia, di discutere del destino della nazione e quell’incompiuto desiderio di dare un contributo alla chiarezza del perché e percome il bel paese viva uno dei periodi più difficili e complessi della sua storia repubblicana. Eccoli. Sono qui seduti a circolo nell’ampio salone della moderna struttura dell’ organizzazione italiana di tutela e formazione operante nella city.
Peccato che, di fronte a loro, non vi sia il luminare universitario a cui porre i quesiti, ma il sottoscritto, con tutti i limiti annessi al personaggio, eletto in parlamento dal popolo emigrato, un po’ tribuno e molto Don Chisciotte. Storia di un viaggio aldilà della manica verso la megalopoli londinese e più su all’incontro dei molisani di Bedford e oltre, sino alla muraglia del Vallo di Adriano. I giovani italo-londinesi a cui non pare vero di poter esprimere al loro rappresentante in Europa, tutta la rabbia, mista a nostalgia e dolore, per il degrado politico e morale del nostro paese.
Dal che è possibile trarre una sintesi: l’Italia sta perdendo le energie migliori per il suo riscatto senza che, nel paese, vi sia la pur minima coscienza di una così grave sconfitta.
Cerco, senza trovarla, una risposta che dia un senso all’incontro. Mi commuove, al termine della serata, il corale augurio di rivederci presto per continuare il confronto. Un segno che non tutto è perduto. Arrivederci, ragazzi, ritornerò. A Bedford, è un’ altra storia. Trovo, lassù, i protagonisti delle mattonelle. La misera emigrazione degli anni cinquanta sessanta addetta alle fonderie ove si cuoce il rosso mattone con cui l’Inghilterra ha costruito le sue città nel dopoguerra. Miniere e fonderie. Fonderie e miniere. L’alternanza tra il buio della notte permanente e il calore che brucia la pelle sotto i capannoni in cui si annidò, inconsapevolmente, il morbo mortale dell’amianto. Gli italian boys del tempo che fu, miseri lavoratori della patria sconfitta, sono oggi cittadini di una nuova storia. L’ampio salone della festa in onore del cinquantesimo di fondazione dell’associazione, brilla della luce dei nuovi cittadini italo britannici. I vecchi se ne stanno un poco in disparte, attorniati, come sono, dalla folta presenza dei giovani nipoti.
Rende loro l’ onore, agghindato in pompa magna, il sindaco di Bedford, accompagnato dai suoi municipali.
Dall’aspetto e dal comportamento, denota l’origine indiana.
Saluta e ringrazia i suoi cittadini, così dice, e rassicura il sottoscritto sull’importanza della comunità italiana nella contea. Il giorno seguente saliamo verso Middlesbrough e Sunderland. Tranquilli, caledoni del tempo di Adriano, veniamo in pace alla ricerca di una vicenda italiana. Mi accompagna Fiorentino, la cui vita è tutta una storia. E sarà lui a salutarmi a St. Pancras Station sull’Eurostar che mi porta a Parigi.
Attraversando il tunnel della manica, costruito per unire i due mondi vicini e pur tanto sospettosi e lontani, non posso che rammentare il comune destino europeo a cui siamo chiamati. Il referendum di Giugno sulla Brexit del Regno Unito dall’Unione europea è di là da venire. In fondo, cari britannici, la schiuma dell’onda del mar della Manica, ha sempre unito le terre da Dover al Pas de Calais.
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