Premettiamo che non abbiamo nessuna stima e nessuna simpatia per Riccardo Bossi, uno dei figli dell’ex presidente della Lega Nord, se non altro perché a suo tempo è stato bocciato due volte agli esami di maturità e al posto di accusare se stesso ha accusato gl’insegnanti che lo avevano esaminato e poi perché ha comprato una laurea fasulla in Albania. Ciò premesso, nelle ultime settimane il rampollo di Bossi è stato accusato pubblicamente di possedere uno yacht, attraccato in Tunisia, pagato con i soldi della Lega. La notizia è risultata poi completamente falsa. Il presunto colpevole non era proprietario dello yacht, né poteva, quindi, averlo pagato con i soldi della Lega.
A questo punto, siccome la notizia è stata diffusa o dal pm o da qualcuno del suo ufficio, è lecito domandarsi che giustizia ci sia in Italia se un pm o il suo ufficio divulgano fatti non provati. Prima di accusare una persona bisognerebbe avere delle prove. Se non si hanno le prove, si può e si deve indagare, ma con la discrezione dovuta, altrimenti non è giustizia. Mesi fa, a Milano, fu ammazzata una donna che aveva accusato e fatto condannare il marito mafioso e autore di vari delitti, che poi si è vendicato. La donna doveva essere protetta, mentre tutti sapevano dove si trovava e dove abitava. E poi ci si domanda perché i cittadini non collaborano con la giustizia.
Il pm di Palermo, Antonio Ingroia, insieme ad altri della stessa procura, ha, come si sa, intercettato il presidente della Repubblica mentre Napolitano parlava con Nicola Mancino, ex vice presidente del Consiglio Superiore della magistratura, che si lamentava di essere stato chiamato in causa in merito alla trattativa – vera o inventata, non sappiamo – tra Stato e mafia negli anni 1992-93. Il presidente della Repubblica non è intercettabile, altrimenti è un reato, ma i pm di Palermo lo hanno fatto. Lo stesso Antonio Ingroia, come si sa, si è candidato alle elezioni e non si è dimesso dalla magistratura, come era suo diritto, usufruendo di un congedo elettorale retribuito. Fatte le elezioni, non eletto e finito il congedo, ha continuato a percepire lo stipendio di 5 mila euro netti al mese in attesa di una sede. Ottenuta la sede, ha chiesto ed ottenuto le ferie. Si dirà che è la legge che consente di prendere lo stipendio e non lavorare, ed è vero. Si tratta di un privilegio degli impiegati dello Stato e nessuno dice niente, evidentemente perché fa comodo.
Per motivi di spazio, citiamo solo un altro, clamoroso caso di giustizia inaffidabile. Oggi, la procura di Palermo indaga sulla trattativa Stato-mafia. E’ giusto e sacrosanto che lo faccia, ma anche qui vale quanto detto prima, e cioè che le accuse, prima di essere attribuite, vanno provate, altrimenti la giustizia diventa una portineria. Negli ultimi vent’anni, la procura di Caltanissetta prima e quella di Palermo poi hanno costruito tesi ed accuse in merito alla scomparsa dell’agenda rossa che Paolo Borsellino aveva sempre con sé, anche al momento dell’attentato dove perse la vita. Nel 2007 i pm accusarono l’allora capitano dei carabinieri Giovanni Arcangioli di aver fatto sparire l’agenda rossa che si riteneva (si riteneva) contenesse i nomi della trattativa Stato-mafia. Inutili le professioni di innocenza del militare, prosciolto, alla fine, dopo molti anni di gogna.
La settimana scorsa, il giornalista di Repubblica Francesco Viviano con uno scoop mostra dove si trovava la famosa agenda rossa di Bersellino: a 20 metri dal ,luogo dove giaceva il suo corpo dilaniato dalla bomba. Lo ha scoperto visionando il filmato fatto dai vigili del fuoco subito dopo l’attentato. Quel filmato era a disposizione degli inquirenti , i quali semplicemente non lo avevano mai visionato. La stessa procura di Caltanissetta aveva ordinato di raccogliere tutti i reperti in via d’Amelio e metterli a disposizione degli inquirenti (furono riempiti 56 sacchi neri della spazzatura).
Si può continuare ad amministrare così la giustizia?