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22 November 2024
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STORIE di Gianni Farina

Una vita al servizio di chi non ha voce

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Stefano Rodotà non è più.

Un viso che racconta tutta la tristezza della sua terra natia. La voce tremante e flebile di chi è consapevole della grandezza della sfida.

L’occhio indagatore e pur gentile, nella speranza che il buono, malgrado tutto,  è destinato a vincere sul male.

L’attrazione per le battaglie disperate, la dote degli sognatori che sanno cambiare il cammino della storia. L’uomo che ha vissuto le sconfitte senza intaccare la propria onestà intellettuale e umana. L’intransigenza sui principi unita alla capacità innata dell’ascolto. Stefano Rodotà ci ha lasciati soli di fronte a politicanti senza scrupoli intenti a giocare sulla pelle del paese. Lo ascoltai tanti anni fa al dibattito sui principi irrinunciabili della “carta costituzionale” sottoposta agli attacchi delle forze eversive nel periodo più buio della storia repubblicana. Ne rimasi affascinato. Come mi accadde, decenni prima, nell’ascoltare Umberto Terracini, lo storico presidente della costituente: per la chiarezza del linguaggio e per il pessimismo del suo dire in cui intuivi la sofferente percezione del pericolo.

Stefano Rodotà sapeva vincere perdendo. Con la coscienza che tocca sempre a qualcuno contrapporre i sogni al realismo della politica, necessariamente tesa al compromesso della ragione e tuttavia bisognosa del tasso d’utopia che realizza le speranze di un intero popolo. Il grande intellettuale e politico è scomparso nel mentre assistevamo, al senato della repubblica, all’ indegno  spettacolo della marmaglia nell’attacco al disegno di legge dello “Ius soli” che introduce il diritto di cittadinanza ai figli degli stranieri nati e scolarizzati nel nostro paese.

Ai giovani che frequentano le scuole della repubblica, parlano la nostra lingua, e persino i dialetti delle varie regioni italiane ove essi vivono, amano l’Italia perché è il luogo ove hanno espresso i loro primi vagiti, condiviso le storie, gli aneliti, i sogni giovanili, i banchi di scuola ove apprendere la cultura in cui si riconosce un popolo che diviene nazione, si vorrebbe impedire il riconoscimento della cittadinanza senza la quale essi saranno stranieri due volte: per l’Italia e per la terra abbandonata dai  genitori, a loro sconosciuta se non nei saltuari racconti all’interno della famiglia.

Si nega un diritto sfruttando il clima di preoccupazione e paura per  un terrorismo assassino che nulla  ha a che vedere con le masse di disperati  vaganti sui barconi nella tempesta del “mare nostrum.” Si nega un diritto per ricacciare nell’angolo della solitudine e dell’emarginazione migliaia, forse milioni di giovani, ricchezza, culturale e umana, della nazione italiana. Si nega un diritto offendendo la storia della diaspora italiana nel mondo.  La battaglia per il riconoscimento della cittadinanza è solo all’inizio. E oso sperare che sarà vinta grazie all’impegno civile delle forze parlamentari più avanzate e democratiche.  Il salone del teatro comunale  di Rombas, in Lorena, è stracolmo di convenuti alla festa di primavera che rinnova una tradizione decennale dei nostri emigrati. La regia di Luigi Caracciolo, il presidente dell’Amicale, è, come sempre, impeccabile.

Illustra e spiega, nel pittoresco linguaggio franco italofono, lo scopo della serata. Parla il sindaco della città, Lionel Fournier. Porta il saluto delle istituzioni.  Tocca a me.

Leggo un passaggio delle mie “Storie”. Raccontano il drammatico momento vissuto dai nostri giovani campani nel lontano 1980- La folle rabbia del Dio dell’Ade che scatenò il tremore distruttivo sui villaggi irpini. Le distruzioni, i lutti, la disperazione dei sopravvissuti, la fuga, l’arrivo di trenta giovani a Ginevra, accolti grazie al nostro impegno solidale e umano.  Leggo e mi assale la sincera commozione per una catastrofe impressa nella mia memoria. L’ applauso liberatore mi da l’afflato per concludere.

Questa è l’ora della solidarietà per i nostri cittadini di Arquata del Tronto e Amatrice. L’omaggio delle mie “Storie” per una goccia di solidarietà. A sera, l’amico Luigi annuncia il successo dell’iniziativa. Tremila e più euro sono versati alla protezione civile per contribuire alla ricostruzione dei villaggi colpiti.  Sono storie di uomini e donne dal cuore grande che non hanno smarrito il senso di appartenenza e la cultura della solidarietà. Arrivederci, cari amici. Ritornerò a rivivere con voi l’affetto che si rinnova ogni qualvolta ritrovo il vostro calore unito all’abbraccio caloroso e  sincero.

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