Cento anni fa, negli ultimi giorni di febbraio, un commando italiano di elementi scelti entrò nella sede dell’Evidenbureau austriaco di Zurigo per impadronirsi di documenti custoditi in una cassaforte. Insieme ad ingenti valori, il commando trafugò gli elenchi dei membri di una rete spionistica austro-ungarica che operava ai danni dell’Esercito e della Marina Militare italiana con atti di sabotaggio e attentati
Due pellicole per evocare il fatto storico
Non tutti ricorderanno trama e soggetto di un film uscito nelle sale cinematografiche nel lontano 1951. Senza bandiera ne era il titolo. Appartenente al genere che nell’accezione comunemente adottata dalla settima arte oggi definiremmo thriller, vi collaborarono nomi e personalità di tutto rispetto: la regia era di Lionello De Felice, la sceneggiatura dello stesso regista e di Jacopo Comin, affiancati dal giovane Nantas Salvalaggio e da Giorgio Prosperi; la colonna musicale era di Renzo Rossellini, fratello di Roberto Rossellini, e gli attori tanti e capaci, fra i quali spiccavano Massimo Serato, Paolo Stoppa e Carlo Ninchi. Anche la miniserie TV del 1981 di Giovanni Vettorazzi, intitolata Accadde a Zurigo, tre episodi televisivi con Gianni Garko, Carlo Hinterman e Francesca Topi, appartiene allo stesso genere. Ma più che di thriller dovremmo in realtà definirli film di spionaggio, poiché in entrambi i casi si trattava della ricostruzione di un celebre fatto storico avvenuto a Zurigo nel febbraio 1917, esattamente un secolo fa, e conosciuto come il colpo di Zurigo. La trasposizione cinematografica degli eventi drammatici occorsi durante la prima Guerra Mondiale alla Marina Italiana, con 724 perdite umane provocate da atti di sabotaggi e attentati a Brindisi, Taranto, La Spezia e Genova, destò grande interesse negli spettatori. Il pubblico che assistette alle proiezioni comprese che quella ricostruzione, pur nella finzione cinematografica, rendeva giustizia all’impegno patriottico assunto da un gruppo di temerari italiani che nel febbraio 1917 a Zurigo sferrarono un duro colpo al nemico. Nella Bahnhofstrasse, al numero civico 69, aveva sede l’Evidenzbureau austroungarico, dove si svolgeva un’intensa attività di spionaggio programmando attentati ai danni dell’Esercito italiano e ricorrendo per questo a numerosi collaboratori, agenti e infiltrati passati al nemico per denaro o perché, in alcuni casi, condividevano la politica absburgica. La Marina Regia Italiana si attivò pertanto per istituire un Ufficio di controspionaggio e annientare la rete di informatori italiani capeggiata da Zurigo da Rudolph Mayer, un ufficiale della Marina Imperial-Regia che dietro l’incarico di Vice Console austriaco a Zurigo, nascondeva la sua attività di spionaggio. Il modo migliore per neutralizzare la pericolosa rete al soldo di Vienna che agiva indisturbata da Zurigo, parve quella di sottrarre al Mayer gli importanti documenti che custodiva all’interno di una cassaforte nei locali dell’Evidenzbureau. Un avvocato di Firenze trasferitosi a Zurigo per questioni fiscali – in realtà era un “doppiogiochista” assoldato in precedenza da Mayer -, due agenti segreti di Trieste, un militare della Marina italiana, un meccanico di Trieste, un esperto scassinatore di Livorno, furono individuati e contattatti dai Servizi Segreti per la spedizione zurighese, con il preciso incarico di penetrare furtivamente all’interno dell’edificio e sottrarre i documenti. I loro rispettivi nomi: Livio Bini, Salvatore Bonnes, Ugo Cappelletti, Stenos Tanzini, Remigio Bronzin e Natale Papini.
Il risultato del blitz di Zurigo
A causa di un imprevisto l’azione si svolse in due momenti diversi: entrato nell’edificio nella notte del 22 febbraio 1917, il gruppo scoprì la presenza di una porta supplementare, di cui si prese il calco della serratura prima di rinunciare all’impresa. Il 24 febbraio il gruppo entrò di nuovo nell’edificio intorno alle 21,30, eludendo la sorveglianza e aprendo la cassaforte, operazione che richiese cinque ore. L’esito fu fruttuoso: oltre a 875.000 franchi svizzeri, sterline d’oro e gioielli, dalla cassaforte furono trafugati i preziosi documenti con l’elenco delle spie e dei sabotatori, a cui si aggiungeva quello degli agenti austroungarici che agivano sul suolo italiano preparando attentati in Parlamento, presso la Banca d’Italia e nei porti dove erano ormeggiati mezzi navali della Reale Marina. Sgominata a Zurigo la rete spionistica di Rudolph Mayer, l’Esercito italiano procedette immediatamente all’arresto di quaranta elementi pericolosi, poi processati e condannati per tradimento. Contestualmente a questi eventi, nel giugno 1917 il Servizio Informazioni del Comando dell’Esercito Italiano pubblicò con i tipi dell’Unione Arti Grafiche di Città di Castello un dettagliato rapporto dal titolo Note sullo spionaggio tedesco in Europa, con tanto di nomi degli agenti assoldati dal nemico per colpire l’Italia. Nelle Sezioni intitolate Il nucleo di Zurigo e Agenti a Zurigo si legge espressamente di nomi, luoghi e circostanze in cui agivano spie e infiltrati, pedinati dai servizi di intelligence italiani prima del colpo di febbraio. Sfogliando quelle pagine si rileva come il controspionaggio italiano avesse raccolto prima del 1917 una gran messe di informazioni sulla rete di spie austriache che facevano capo all’Evidenzbureau diretto da Rudolph Mayer. Per fornire un’idea del clima di cospirazione – e di coperture a vario titolo – che regnava all’epoca, valga il resoconto di pagina 175: A Zurigo, un posto molto importante pare sia tenuto da von Schauenburg, ex·console di Germania a Palermo, il quale sarebbe, per così dire, un grosso impresario di spionaggio ai servizi di quei consolati germanico ed austriaco. Egli avrebbe come aiutante un socia1ista di Basilea, certo Haring, agente della propaganda pacifista tedesca, che attualmente dirige a Zurigo lo stabilimento fotografico Pleyel (Bahnhofstrasse, 108), dove si eseguono in 24 ore fotografie per passaporti, di ognuna delle quali una copia viene trasmessa, con tutte le indicazioni di identità fornite dal fotografato, al Console germanico.
Un danno d’immagine arrecato al patriota
Un fatto curioso lega uno dei film citati in esordio a vicende più recenti. In Senza bandiera lo scassinatore livornese Natale Papini, elemento portante dell’impresa, è presentato come un losco individuo, condannato per furto, che in prigione è posto di fronte ad una scelta: il controspionaggio italiano gli chiede, in alternativa al carcere o all’invio al fronte, di partecipare al colpo di Zurigo e di aprire la cassaforte. All’uscita del film il vero protagonista del colpo – settantenne nel 1951 -, indignato dal falso storico di cui si diceva vittima, denunciò per danno d’immagine il produttore Luigi Freddi per aver permesso all’attore Umberto Spadaro di interpretare il ruolo di un ladro patentato, quando in realtà all’epoca dei fatti Papini era solo un abile fabbro. Da un’intervista del 2007 concessa dal nipote Aldo Melani si apprende che nel 1916 Papini aveva fabbricato per conto di alcuni clienti le chiavi usate per rapinare una banca di Viareggio. Per questo fu indagato, e rifiutandosi di svelare i nomi dei suoi clienti, scontò un breve periodo di detenzione nel carcere di Livorno, in attesa del processo. La sua caparbietà richiamò l’attenzione dei servizi segreti, che lo avvicinarono dopo l’uscita dal carcere richiedendo la sua fattiva collaborazione per il colpo di Zurigo. Si sa: la Storia nel tempo svela alcuni arcani e scioglie i dubbi.
Giuseppe Muscardini
1 commento
Era il mio bisnonno paterno, fa piacere che ogni tanto qualcuno ricorda il grande livornese Natale Papini…… A Livorno l’hanno oramai dimenticato, ma è meglio così, tanto non merita nessuno….. Noi Papini siamo fatti così……
Massimo Papini