Piano diplomatico per mettere fine alla guerra civile in Siria
Due notizie sulla Siria. La prima potrebbe essere l’inizio di un fenomeno di fuga da parte di graduati dell’esercito, anche se per ora resta solo la fuga di un pilota di caccia che ha chiesto asilo politico in Giordania. In realtà, già in passato singoli soldati sono passati dalla parte degli insorti e sono andati ad ingrossare le fila del cosiddetto esercito libero siriano, che opera soprattutto dall’altra ai confini con la Turchia. Per il resto, il fenomeno di disgregamento dell’esercito non c’è stato in Siria come ci fu in Libia. Dunque, si tratta solo di una notizia. L’altra, però, ha un’importanza maggiore, perché si tratta di un piano elaborato da Usa e Gran Bretagna e che è diretto ad Assad. E’ una proposta di soluzione diplomatica della difficile situazione in Siria: ad Assad e alla sua famiglia viene offerto l’esilio in Russia o in Iran in cambio delle sue dimissioni e della rinuncia al potere e dell’inizio di una fase di transizione alla democrazia.
Per la verità, la stessa proposta fu a suo tempo fatta a Gheddafi, il quale non la prese nemmeno in considerazione, perché voleva restare in Libia, nella sua Libia, o da presidente del Paese o da martire. E’ successo poi che ci è restato da martire. L’offerta, dicevamo, è partita da Usa e Gran Bretagna, ma in realtà è stata fatta sulla base di alcuni spiragli offerti dalla Russia. Quando, però, il piano è diventato ufficiale, lo stesso ministro degli Esteri russo, Sergei Lavrov, ha fatto capire chiaramente che esso è impraticabile, aggiungendo una spiegazione: “E’ impraticabile perché Assad non lascerà il potere”.
La frase è sibillina, perché potrebbe prestarsi a due interpretazioni. La prima è che la Russia proteggerebbe Assad da ogni attacco, non lo lascerebbe solo, non permetterebbe che succeda quel che è successo in Libia. Dunque, avrebbe un significato vagamente minaccioso nei confronti di tutti coloro che in qualche modo scalpitano per scalzarlo dal potere. La seconda è che Assad, allo stesso modo come Gheddafi,non avrebbe nessuna voglia di accettare l’esilio perché in Siria ha il potere e continuerà ad averlo, a qualsiasi costo. Se dovrà mollarlo, lo farà come martire. Il che, evidentemente, comporta delle conseguenze. La prima conseguenza è che non è disposto a venire a patti con i rivoltosi. E’ chiaro che non esiste solo una questione di potere, che comunque è fondamentale; esiste anche una questione di consegnare la Siria ai Fratelli musulmani, quindi ad un regime coranico. Non bisogna dimenticare una cosa: Assad è un dittatore, è un sanguinario, come suo padre, ma un laico non disposto a cedere ai fondamentalisti. Dunque, o gl’insorti cessano le violenze e desistono dalla guerriglia o continuerà ad essere conflitto e sangue fino alla fine, fino a quando, cioè, una parte non la spunterà sull’altra. L’altra conseguenza è che ricorrerà alla proposta di Usa e GB solo, eventualmente, per la sua famiglia, quando avrà verificato che avrà perso e che non ci sarà nessun’altra via di uscita.
C’è una terza conseguenza, ed è che se così stanno le cose, la situazione in Siria porterà alla rovina. Il Paese, fra qualche anno, specie in caso di vittoria degli insorti, diventerà un cumulo di rovine. Per capirlo, non c’è bisogno di essere maghi, basta guardare a quel che succede. L’eterogeneità degli insorti è quanto mai vasta. Si tratta di gruppi di ogni genere, in lotta anche tra di loro. Se questo non avviene oggi, è solo perché c’è un comune nemico: Assad. Dopo, esploderanno, come sono già esplose in Egitto in questi giorni, all’indomani delle elezioni per il presidente che, una volta avvenuta, si è trovato a guidare l’Egitto senza parlamento eletto, perché delegittimato dalla sentenza della Corte Suprema che lo ha annullato per vizi anticostituzionali. Nel frattempo, in Siria succede che la guerra viene fatta tra gl’insorti e Assad, ma in realtà le armi vengono offerte al regime dalla Russia, agl’insorti da Usa e Gran Bretagna, tra te le loro rispettive reti di comunicazione e di trasmissione, in barba al principio di autodeterminaziione dei popoli.