Il 30 settembre è la data limite imposta dall’Onu all’Iran per riprendere le trattative sul nucleare. In mancanza di novità, scatteranno nuove e più severe sanzioni. È anche per questo che dopo le contestate elezioni, le proteste, gli arresti, le torture e la morte di parecchi manifestanti e l’isolamento internazionale del regime, il presidente Mahmoud Ahmadinejad ha dichiarato la sua disponibilità alla trattativa, precisando che “dal nostro punto di vista la questione nucleare è conclusa. Noi non negozieremo sui nostri innegabili diritti”.
Lette le dichiarazioni del governo iraniano, il presidente americano ha fatto sapere che non c’è nulla di nuovo. In questa dichiarazione si concentra la delusione di Obama dopo le sue ripetute offerte di dialogo. In sostanza, il leader americano ha capito che con l’Iran il dialogo non funziona, anzi, è evidente che se ne serve per guadagnare tempo. Mettendo l’accento sul nucleare civile per nascondere quello militare (la bomba atomica), spera di confondere le acque, per la verità già confuse.
Mentre il Dipartimento di Stato americano prevede la possibilità di costruire la bomba entro il 2013, il membro statunitense che fa parte dell’Aiea (Agenzia internazionale energia atomica) dice addirittura che potrebbe essere cosa fatta entro un anno. Più ottimista il presidente dell’Aiea, ElBaradei, egiziano, che ha confermato l’esistenza di informazioni di intelligence su un presunto programma segreto iraniano che potrebbe rendere possibile la costruzione della bomba, aggiungendo che gli ispettori nutrono “preoccupazioni, ma non sono nel panico”.
Insomma, se la bomba potrà essere costruita entro un anno o entro tre, ha poca importanza, perché tutti sanno che l’Iran va in quella direzione. L’Onu ha certificato che la quantità di uranio arricchito in possesso dell’Iran è di 1430 kg, quanto basta per l’arma nucleare. Di qui la data del 30 settembre, l’improvvisa disponibilità a trattare dell’Iran e lo scetticismo dell’America, che accetta il dialogo ma nello stesso tempo non crede che possa servire a qualcosa. Non potendo usare la forza, altrimenti sarebbe accusato di fare come Bush, forse Obama lascia che gli eventi facciano il loro corso. Resta sempre la possibilità che sia Israele ad intervenire come bersaglio dichiarato delle minacce verbali del dittatore. Intanto, dopo qualche mese di silenzio, dal Libano sono iniziati di nuovo i lanci di razzi contro Israele. Qualcuno ha notato la relazione tra la ripresa dei lanci e il piede nel prossimo governo libanese di Hezbollah.
Per ora ci sono stati i lanci dal Libano e la risposta di Israele, immediata: non ci sono state vittime, ma botte e risposte sono indici di un nuovo clima di tregua interrotta o che sta per essere interrotta. In questo senso, il rafforzamento dell’Iran in termini di arsenale militare e nucleare non è un buon segno per la pace in Medio Oriente.
Infine, spostiamoci negli Usa, dove nei giorni scorsi ci sono stati due avvenimenti importanti. Il primo è stato il discorso di Obama al Congresso sull’estensione dell’assicurazione sanitaria anche ai 46 milioni di americani che ne sono sprovvisti. Obama ha detto che la riforma costerà 900 miliardi di dollari nei prossimi dieci anni, meno di quelli spesi per le guerre in Iraq e in Afghanistan messe insieme. Dopo il discorso, con la citazione dell’eredità di Ted Kennedy che si è battuto per tutta la vita e che avrebbe voluto vedere realizzata la riforma sanitaria, le quotazioni del neo presidente sono aumentate. L’hanno approvata due americani su tre, ma non è detto che la riforma diventerà pacificamente legge, data l’opposizione del partito repubblicano e anche lo scetticismo di una frangia di democratici. L’opposizione, che ha organizzato un’imponente manifestazione per le strade di Washington, spiega che la riforma comporterebbe l’aumento delle tasse.
Il secondo avvenimento riguarda la commemorazione delle vittime degli attentati dell’11 Settembre del 2001.
Obama ha dichiarato che gli americani sono uniti sia nella gioia che nel dolore e che la lotta al terrorismo non verrà mai meno. Quello che è cambiato è che è scesa di almeno la metà la percentuale di quegli americani che pur volendo combattere il terrorismo non sono così tenaci nel proseguire la guerra in Afghanistan, dove si gioca la partita tra gli occidentali e il tentativo di Al Qaeda di continuare ad avere una base operativa con l’egemonia sul territorio e sulla popolazione. Gli Usa stanno mandando altri 21 mila soldati in Afghanistan, ma l’opinione pubblica non appoggia sempre queste missioni. Questo è un dato pericoloso.
Le ultime notizie confermano il vantaggio di Karzai con oltre il 54% dei suffragi, il che non depone a favore di un’offensiva, seria e rigorosa lotta contro il terrorismo e la corruzione. D’altra parte, il fatto che i risultati di oltre cinquemila seggi siano stati dichiarati nulli per brogli, fa capire la drammaticità in cui si dibatte il Paese dopo 5 anni di guerra. Ciò significa anche che dubbi e voglia di voltare le spalle (Inghilterra e Germania) all’Afghanistan non sono buon viatico di vittoria, se poi questa incertezza s’impadronisce anche dell’America vorrà dire che il futuro rischia di ammantarsi di dense nubi.
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